giovedì 28 aprile 2011

IGNAZIO SILONE

Ignazio Silone

Pseudonimo di Secondino Tranquilli, Ignazio Silone nasce a Pescina, in provincia dell'Aquila, il 1° maggio del 1900, figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero. Qualche anno dopo la morte del padre (1910), egli perde anche un fratello per i postumi di un incidente e la madre nel terremoto che nel gennaio del 1915 distrugge gran parte della Marsica. Rimasto senza genitori e senza casa, va ad abitare con la nonna paterna e col fratello più giovane, Romolo, «nel quartiere più povero e disprezzato» del paese, dove comincia a frequentare la baracca della Lega dei contadini.Nel frattempo riprende gli studi classici interrotti a causa del terremoto. La nonna lo affida al collegio Pio X di Roma, da cui però, in seguito a un tentativo di fuga, viene espulso. Successivamente, per diretto interessamento di don Luigi Orione passa in un convitto di San Remo e poi di Reggio Calabria.

Nel periodo della prima guerra mondiale, precisamente nel 1917, lascia definitivamente la scuola. Prende parte alle proteste contro l'entrata in guerra dell'Italia e viene processato e condannato al pagamento di un'ammenda, per aver capeggiato una violenta manifestazione contro una baracca dei carabinieri di Pescina.

Certamente tra i 17 e i 18 anni, si trasferisce a Roma, ove s'immerge del tutto nella lotta politica. Nel 1921 partecipa alla fondazione del Partito Comunista Italiano come rappresentante della Gioventù Socialista., perseguitato e ripetutamente sequestrato dalla polizia fascista, è costretto a uscire. Agli inizi di gennaio del 1923, Silone espatria clandestinamente e raggiunge prima Berlino e poi la Spagna.

Nel maggio del 1927 si reca insieme con Togliatti a Mosca, dove partecipa a una riunione dell'Esecutivo dell'Internazionale comunista, presieduta da Stalin.

In questi anni comincia a profilarsi la crisi che in seguito lo condurrà a staccarsi totalmente dal comunismo. Mentre progressivamente si rende conto degli oscuri intrighi della politica staliniana e prende atto di «ambiguità e reticenze» dei suoi compagni di partito di fronte all'Esecutivo di Mosca, si rifugia prima in Francia e poi in Svizzera, dove svolge un'intensa attività come responsabile dell'Ufficio Stampa e propaganda

Nella primavera del 1929, Silone, ammalatosi gravemente a causa di un'affezione di origine tubercolare, chiede di essere esonerato da ogni attività di partito. Ma la sua «crisi di esistenza» è irreversibile.

. Già nel 1930, Silone inizierà a scrivere il suo romanzo più famoso Fontamara, che con gran successo nel 1933 viene pubblicato, prima in tedesco e poi in quasi tutte le altre lingue.

Verso la fine degli anni '30, quando insistenti si fanno le minacce della seconda guerra mondiale, Silone torna all'attività politica, dirigendo in Svizzera il Centro estero del Partito socialista

Il 22 agosto del 1978, dopo una lunga malattia, Ignazio Silone muore in una clinica di Ginevra. Viene sepolto a Pescina, «ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo», secondo il desiderio espresso nelle sue disposizioni testamentarie.

Fontamara

Pubblicato nel 1933 a Zurigo in traduzione tedesca, edito in versione definitiva in Italia solo nel 1954 da Mondadori, “Fontamara” è un atto di denuncia dello sfruttamento delle plebi del Meridione da parte della classe dei proprietari agrari. Testimonianza commossa e polemica politica si fondono nella rappresentazione della vita dei cafoni, i contadini abruzzesi, condannati ad una rassegnata miseria in un mondo in cui il sopruso è legge. Nella denuncia di Silone è insita anche la speranza che tra quella gente, vessata da secoli dalle catastrofi naturali come dalle ingiustizie, possa nascere una coscienza sociale. Ad incarnare la rivolta è Berardo Viola, simbolo del conflitto tra emarginati e integrati, vittima sacrificale necessaria per insinuare il dubbio che le cose possano cambiare. Come recita l’introduzione, il racconto è quello di fatti “imprevisti incomprensibili” che si svolsero durante un’estate a Fontamara, “un oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a mezza costa tra le colline e la montagna”, un anno prima della pubblicazione del libro. La corrente elettrica se n’era andata dal paese – una delle cose che i piemontesi avevano portato e ora riportato via, pensarono i cafoni – perché i fontamaresi non la pagavano mai e, per di più, l’esattore comunale non si era nemmeno presentato, quell’anno. Era, invece, arrivato su una bicicletta il Cavalier Pelino, rappresentante del Governo, che i cafoni sbeffeggiarono pensando annunciasse una nuova tassa. C’era poi il problema dell’acqua del ruscello necessaria per irrigare i campi e che il nuovo podestà, Don Carlo Magna, aveva fatto deviare per le proprie terre. Ne seguirono zuffe e proteste dei fontamaresi, che si guadagnarono così la fama d’agitatori. A dirimere la questione giunse Innocenzo La Legge, che inasprì il malcontento finché i contadini non furono convocati ad Avezzano, per sentire le risoluzioni del Governo sulla questione dell’acqua. Intanto, era arrivato in paese anche il Solito Sconosciuto, un misterioso personaggio che denunciava le ingiustizie sul “primo giornale dei cafoni”. Berardo Viola, contadino rimasto senza terra, era il più impetuoso dei rivoltosi e fu quello che pagò con la vita: quando il caso di Fontamara fu risolto, a Roma fu trovato morto, in una cella della prigione. A Fontamara, appresa la notizia, i cafoni si chiesero: “che fare?”; e, anche dopo la guerra, i pochi superstiti scappati all’estero continuarono a chiedersi: “che fare?”.

RIASSUNTO:

Questo libro racconta le vicende della popolazione di Fontamara, un piccolo e povero paese della Marsica.

Anche se il narratore è uno per ogni fatto raccontato, esso rappresenta l’intera popolazione, in quanto i contadini di Fontamara vivevano più o meno tutti nelle stesse condizioni sia economicamente sia culturalmente critiche.

Vengono narrati in prima persona tutti i soprusi subiti dalla massa contadina da parte dei ricchi che li raggiravano spesso e volentieri illudendoli con improbabili accordi. Gli abitanti di Fontamara però se ne rendevano conto sempre troppo tardi causa la loro ignoranza.

A partire da giugno del 1929 nel paese avvengono strani cambiamenti che mettono in preoccupazione tutti gli abitanti. Una mattina al paese non arriva più l’elettricità. Sperando di rimediare a questa “fatalità” ogni contadino firma una misteriosa “carta bianca” che, con il passare delle pagine, si scoprirà l’autorizzazione a togliere l’acqua per l’irrigazione portandola ad irrigare i possedimenti dell’Impresario, un “galantuomo” che divenne sindaco del capoluogo. Egli era un imprenditore appoggiato dal “regime di Roma”. Capito l’inganno i fontamaresi si recano a casa dell’Impresario, dove tentano di convincerlo a ridare loro l’acqua, perché essa era un bene indispensabile per la loro sopravvivenza. Essi però ottengono solo altri inganni che li lasciano senz’acqua e portano alla riduzione del loro salario. Dai soprusi ottenuti con le parole, si passò poi ai soprusi fisici (violente incursioni). Allora uno di loro, Berardo Viola, l’uomo più forte e robusto, decise di reagire tentando di trovare maggior fortuna fuori dal paese. Durante il viaggio verso il capoluogo egli si rende conto che, al di fuori di Fontamara, sono cambiate molte cose. Quando ormai è evidente il fallimento di Berardo, egli viene a conoscenza della morte di Elvira, la sua amata che egli avrebbe dovuto sposare non appena tornato dal suo “viaggio in cerca di lavoro”. Allora Berardo si convince che per lui la vita non ha più senso. Durante uno dei suoi tanti spostamenti però avviene una svolta: incontra un partigiano che lo mette al corrente dell’avvento del fascismo e di molti altri cambiamenti avvenuti in Italia e sconosciuti da tutti i fontamaresi. L’incontro a Roma con l’Avvezzanese (il partigiano), gli apre gli occhi sulla realtà che tutti stanno vivendo.

I due vengono arrestati per un equivoco e nel periodo in cui sono costretti alla convivenza in cella, il contadino sviluppa una notevole maturazione politica. Questo suo nuovo impegno morale lo porta ad autoaccusarsi di essere il “Solito Sconosciuto”, ossia un sostenitore attivo della resistenza. Dopo questa falsa testimonianza egli viene torturato perché riveli i nomi dei suoi complici fino all’atroce e ingiusta morte. Venuti a conoscenza del fatto i fontamaresi fondano il “Che fare?”, un giornale in cui scrivono degli ingiusti soprusi subiti e della ingiusta morte del loro compaesano. La conclusione è tragica in quanto il regime decide di punire tutti i fontamaresi mandando una squadra della Milizia che fece strage di abitanti. Per fortuna però non tutti morirono, ma qualcuno (tra i quali anche i vari narratori) trovò la salvezza nella fuga verso la montagna.

PERSONAGGI:

NARRATORI: sono i membri di una famiglia di Fontamara (il padre Giuvà, la madre Matalè e il loro figlio) e rappresentano la massa contadina narrata in questo romanzo. Essi raccontano sempre gli avvenimenti secondo il loro punto di vista, alternandosi tra loro in base a chi fosse stato il protagonista dei fatti narrati.

L’IMPRESARIO: è un imprenditore proveniente da Roma che riuscì a diventare podestà, cioè sindaco del capoluogo. Egli si accanisce soprattutto contro i fontamaresi perché essi intralciano i suoi progetti cercando semplicemente di rivendicare i loro diritti calpestati più volte dal “gentiluomo”.

BERARDO VIOLA: è l’unico fontamarese che cerca di reagire attivamente alla critica situazione in cui il suo povero paese si viene a trovare causa i soprusi dei “gentiluomini”. Egli è forse l’unico che riesce ad emergere dalla massa inattiva formata dai contadini ed è anche l’unico che compie un processo di miglioramento con il passare delle pagine e con il relativo avanzare delle situazioni della vita complicata che egli è costretto a vivere.

ELVIRA: è molto probabilmente la fonte e la causa del miglioramento di Berardo Viola, perché è lei la donna della quale il ragazzo si era innamorato. Il motivo che spinge Berardo a conoscere l’Avezzanese è il destino, ma è a causa della morte della fanciulla (peraltro sua probabile futura sposa) che egli decide di cambiare il suo percorso di viaggio. L’Elvira era una ragazza di circa venticinque anni, forse la più bella di tutta Fontamara, talmente bella da avere più di un pretendente.

DON CIRCOSTANZA: è il Ferrer della situazione, in quanto egli finge di voler aiutare i fontamaresi ad uscire dai guai, mentre è lui il primo ad ingannarli con improbabili e impossibili accordi che portano sempre ad un vantaggio economico per i potenti e per se stesso.

SPAZIO Quest’opera è ambientata in un paesino della Marsica, cui l’autore mette il nome di Fontamara. Esso è un minuscolo paesino disperso tra le campagne della Marsica abruzzese, nei pressi dell’ormai prosciugato lago del Fucino, ed isolato sia per quel che riguarda le comunicazioni fisiche (strade, ferrovie, ecc…), sia per quel che riguarda la cultura e la conoscenza generale (politica soprattutto) del mondo esterno alla chiusa e monotona vita paesana.

Verso la fine del romanzo, l’azione si sposta da Fontamara ad Avezzano e a Roma, dove avverrà poi la tragica conclusione del romanzo.

TEMPO La vicenda è ambientata nel XX secolo, infatti, la narrazione parte dal 1 giugno del 1929

STILE

Silone, come ho già accennato precedentemente, utilizza tre diversi narratori in prima persona, e di conseguenza tre diversi punti di vista molto spesso concordanti per quel che riguarda le idee evidenziate. L’autore, infatti, cerca di immedesimarsi nei panni dei tre rappresentanti di una famiglia di Fontamara, padre, madre e figlio, i quali raccontano le proprie esperienze vissute assieme agli altri abitanti del paese. Questo metodo utilizzato dall’autore, gli concede il permesso non di utilizzare il linguaggio popolare, ma di fare una traduzione poco ricercata di esso, per rappresentare meglio la realtà contadina del tempo. Essendo questo romanzo appartenente al genere realisti del ‘900, rispecchia perfettamente le sue caratteristiche principali: si ha una rappresentazione oggettiva e dolorosamente realistica del mondo contadino e dei problemi del Sud.

Sul piano linguistico prevale una costruzione paratattica del periodo con un linguaggio piuttosto semplice e colloquiale che rispecchia l’ignoranza in cui vivono i contadini, mentre i cittadini più istruiti ed importanti si esprimono in una forma più ricercata e arricchita anche da citazioni e vocaboli latini.

TEMATICHE

Il libro Fontamara, scritto nel 1930, è un’alta testimonianza delle disperate condizioni dei contadini abruzzesi sotto la dittatura fascista. In esso, infatti, vengono affrontati il tema dell’avvento del fascismo nell’Italia centro-meridionale e sono descritte le disumane condizioni dei contadini di quel tempo. Un’altra tematica, che però occupa una posizione marginale nel racconto di Silone, è quella di una storia d’amore di due ragazzi che viene contrastata dagli avvenimenti e dalle varie situazioni della vita.

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Il romanzo narra la storia di un vecchio paese della Marsica, Fontamara, più arretrato e misero degli altri. Esso rimase per la prima volta senza illuminazione elettrica poiché nessuno pagava e si riabituò al chiaro di luna.

Il giorno dopo, all'alba, le mogli dei contadini si accorsero che un gruppo di operai lavorava per deviare il corso d'acqua con la quale i Fontamaresi irrigavano i campi. Subito i "cafoni" pensarono a una burla, poi le donne andarono verso il capoluogo per parlare col sindaco, ma furono derise dalle guardie.

I carabinieri le accompagnarono poi a casa del Podestà appena eletto, l'impresario. Dopo varie discussioni il segretario del comune decise che tre quarti dell'acqua dovessero andare all'impresario e i tre quarti del rimanente ai Fontamaresi, spiegando come si trattasse di una decisione equa che garantiva a tutti la stessa quantità d'acqua: tre quarti, "cioè un po' più della metà". I cantonieri ripresero i lavori.

Berardo Viola decise di partire e far fortuna in America, ma non poté riuscirci a causa di una nuova legge. Trovò lavoro da bracciante fuori da Fontamara e faticava parecchio.

I rappresentanti dei cafoni della Marsica dovevano essere convocati ad Avezzano per ascoltare le decisioni del nuovo Governo di Roma sulla questione del Fucino.

Un giorno arrivò a Fontamara un camion che, gratis, portava i cafoni ad Avezzano. Salirono tutti sul camion, furono condotti in una grande piazza e successivamente dovettero gridare inni ai podestà mentre la piazza era attraversata da un'automobile, poi potevano tornare a casa.

Intanto nel paese arrivarono dei camion con i militi fascisti che, fatta rincasare la popolazione, portarono via tutte le armi, violentarono le donne, uscirono in piazza e chiesero agli uomini che tornavano dal lavoro circa il Governo, ma nessuno diede risposte soddisfacenti.

I Fontamaresi decisero di chiedere consiglio a Don Circostanza affinché egli trovasse un'occupazione in città per il povero Berardo.

I cantonieri finirono di scavare il nuovo letto per il ruscello e giunse l'ora della spartizione dell'acqua; i Fontamaresi videro che il livello dell'acqua destinata a loro scendeva sempre di più e capirono che sotto vi era l'inganno.

Berardo decise così di partire l'indomani, ma la sua avventura fu sfortunata perché tra tasse, avvocati e inghippi vari rimase senza soldi, senza lavoro e venne incarcerato poiché sospettato di essere il Solito Sconosciuto, un tale che cospirava contro il sistema attraverso la stampa clandestina. Nonostante Berardo fosse innocente, decise di addossarsi la colpa; in seguito verrà ucciso.

La storia giunse a Fontamara e i suoi abitanti decisero di scrivere allora un giornale con gli appunti lasciati dal Solito Sconosciuto e fu intitolato "Che fare?".

L'autore e altri cafoni andarono a distribuirlo negli altri paesi, ma mentre tornavano a Fontamara udirono degli spari. Era la guerra a Fontamara, chi aveva potuto era scappato, gli altri erano morti. Il narratore, il figlio e i pochi cafoni che erano con loro si salvarono nascondendosi nei campi. Non ebbero più notizie di nessuno del paese e vissero all'estero grazie all'aiuto del Solito Sconosciuto, ma non poterono restarci. Dopo tante pene, lutti, ingiustizie, odio, i cafoni superstiti si chiedono sempre: "Che fare?".

Commento

Il narratore è interno e rappresentato da una famiglia di “cafoni”, i cui membri (gli zii di Elvira), che hanno ormai raggiunto in esilio l’autore, si alternano a raccontare, in un lungo flashback, ciascuno le proprie esperienze.

I personaggi

I “cafoni” sono i miseri contadini meridionali proprietari al massimo di un asino o di un mulo, non hanno mezzi per difendersi e vivono in una perpetua ignoranza di cui approfitta persino colui che è considerato “l‘amico del popolo”, Don Circostanza, che rappresenta insieme la difesa e la rovina dei fontamaresi; la loro vita si ripete uguale di generazione in generazione segnata dal lavoro e dalla fatica. Essi sono consapevoli della disperata condizione in cui vivono, come spiegano ad un forestiero.

  • In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa.
  • Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
  • Poi vengono le guardie del principe.
  • Poi vengono i cani delle guardie del principe.
  • Poi, nulla.
  • Poi, ancora nulla.
  • Poi, sempre nulla.
  • Poi vengono i cafoni.

E si può dire ch’è finito.

Il nome Fontamara racchiude in sé già un destino di sventure e sofferenze. Quasi tutti i nomi dei personaggi del romanzo non sono casuali: Don Circostanza, infatti si adegua alle diverse situazioni tenendo prima la parte dei contadini, quindi quella degli agiati cittadini, cercando sempre un tornaconto personale; Don Abbacchio il prete, richiama il verbo “abbacchiare” infatti egli non farà altro che deprimere i poveri abitanti della Marsica, ignorando persino il suicidio di Teofilo, sacrestano della chiesa di Fontamara; Don Carlo Magna è il ricco proprietario terriero; l'Impresario, il podestà abile a speculare su alcuni terreni acquistati da don Carlo Magna a poco prezzo e sui quali farà deviare l'acqua del ruscello di Fontamara riducendo alla miseria i cafoni; Innocenzo La Legge, il messo incaricato di portare i nuovi ordinamenti dalla città.Berardo Viola, protagonista maschile del romanzo, è l’eroe del paese, violento ma altruista è il primo a sacrificarsi tra i cafoni per il bene della collettività: i cafoni infatti erano stati raggirati di continuo ed ogni appello ai notabili del paese risultava inutile poiché questi difendevano sempre gli interessi del ricco podestà, si ritrovavano così sempre più poveri ma ognuno non aveva pensato che al proprio appezzamento di terra, a se stesso. Attraverso il suo personaggio Silone sembra sottolineare il bisogno che qualcuno muova all’azione, ponga fine alla totale indifferenza dei “cafoni”, sempre più sfruttati e tenuti nell’ignoranza dal nuovo regime che li induce lavorare in modo duro ed estenuante.

I cafoni non avevano mai rappresentato una vera minaccia per i gerarchi della potente città, da cui erano sempre stati osteggiati grazie alla cultura ed all’ingegno ma, nel momento in cui provano anche questi ad avvicinarsi al mondo scritto, sentiti come una forte minaccia vengono rapidamente fatti scomparire.


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