giovedì 5 maggio 2011

LA GINESTRA G. LEOPARDI PARAFRASI

LA GINESTRA
Giacomo
Leopardi

Qui sulla pendice (schiena) riarsa del tremendo

(formidabil, latinamente 'spaventevole')

distruttore (sterminator) monte Vesuvio (Vesevo, latinismo),

che nessun altro tipo di vegetazione allieta,

spargi i tuoi cespi solitari intorno, profumata ginestra,

appagata dai deserti (mostrando di non sdegnare i deserti,anzi

quasi di prediligerli). Ti vidi un’altra volta

abbellire con i tuoi steli anche le solitarie campagne che

circondano Roma (la cittade)

la quale città (Roma) fu un tempo dominatrice di popoli,

e sembra che (par che) (le contrade)

con il loro cupo e silenzioso aspetto testimonino e

ricordino al viandante (passeggero) il grande impero perduto.

Ti rivedo ora in questo suolo tu che sei amante

di luoghi tristi e abbandonati dal mondo,

e sempre compagna di grandezze decadute.

Questi campi cosparsi

di ceneri sterili e ricoperti

dalla lava solidificata (impietrata),

che risuona sotto i passi del viandante,

dove si annida e si contorce al sole

sotterranea il serpente, e dove all’abituale tana

torna il coniglio;

furono (la serie fur...fur...fur... sottolinea e oppone)

prosperi e campi incolti, e biondeggiarono di messi,

e risuonarono di muggiti di mandrie;

furono giardini e ville sontuose,

all'ozio dei potenti soggiorno gradito (poichè queste

città erano stazioni turistiche); e furono città famose

che il vulcano indomabile, vomitando (fulminando: spargendo

lava) torrenti di lava dalla sua bocca di fuoco (ignea)

distrusse insieme con i loro abitanti.

Ora invece una sola rovina avvolge tutto quanto (involve),

là dove tu dimori, o fiore gentile e, quasi

compiangendo (commiserando) le altrui miserie,

emani un profumo dolcissimo che sale verso il cielo e

che consola questo luogo di desolazione. Venga in questi

luoghi colui che suole elogiare (esaltar con lode, esaltare

con enfasi, con convinzione cieca) la nostra umana condizione

(il nostro stato) e guardi quanto la natura benigna, amorevole

(amante, detto con sarcasmo) si curi del genere umano. E qui

potrà anche giudicare esattamente la potenza (possanza)

del genere umano, che la natura, crudele nutrice,

quando l’uomo meno se lo aspetta (ov'ei men teme),

con una scossa impercettibile in parte

distrugge in un momento e può con scosse un po’

meno lievi annientare del tutto all'improvviso (subitamente).

Su questi pendii sono rappresentate

le sorti splendide e in continuo progresso

dell’umanità (la citazione proviene dalla dedica che il cugino

del poeta, Terenzio Mamiani, premetteva agli Inni Sacri).

Qui guarda e ammira rispecchiato te stesso (ti specchia),

secolo superbo (perchè pensi di dominare la natura e credi

nel progresso) e stolto (perchè non ti rendi conto delle minacce

che sovrastano il mondo), che hai lasciato la via percorsa fino

ad ora prima di te dal pensiero risorto con il Rinascimento (il

risorto pensier, che aveva sgombrato tutte le oscurità del

medioevo) e, tornato indietro (volti addietro i passi), per di

più ti vanti del procedere a ritroso (del ritornar) e lo chiami

progresso. Tutti gli uomini d'ingegno, di cui la sorte malvagia

(sorte rea) ti rese padre (poichè davvero meritavano di vivere

in un secolo migliore) e queste tue manifestazioni di infantile

insensatezza (al tuo pargoleggiar), vanno applaudendo la tua

follia, benché, talvolta, nel loro intimo, ti scherniscano. A me

non accadrà di lasciare questa vita macchiato di una simile

vergogna (opposizione al conformismo che regna tra gli uomini

d'ingegno), ma avrò (prima) mostrato nel modo più esplicito il

disprezzo che è chiuso (si serra) nel mio animo verso di te,

benché io sappia che chi non piacque (ai propri contemporanei)

è destinato alla dimenticanza (preme, latinamente, corrisponde

ad 'avvolge,ricopre').Di questo male (cioè l'essere dimenticato)

che condivido con te (cioè con il secolo), fin d'ora non mi

importa nulla (mi rido). Sogni la libertà (vai sognando, rende

l'idea dell'illusione) e nel contempo vuoi servo il pensiero in

virtù del quale soltanto risorgemmo in parte dalla barbarie

medioevale e in nome del quale soltanto è cresciuta la civiltà,

che sola guida i destini dei popoli verso il progresso. Tanto ti

spiacque la verità relativa alla sorte dolorosa (aspra sorte) e

alla condizione miserevole che la natura ci ha dato.

Per questo volgesti le spalle al pensiero (lume - l'oggetto è il

vero, con allusione in particolare alla filosofia dell'illuminismo)

che lo rivelò (il fè palese) e, mentre fuggi, definisci vile chi

segue queste dottrine e magnanimo colui che esalta fino alle

stelle la condizione umana, illudendo se stesso o gli altri

e mostrandosi così astuto (se inganna gli altri) o folle

(se inganna se stesso).

Un uomo di umile condizione (povero stato) ed infermo, che

abbia grandezza d’animo e nobili sentimenti,

non si vanta né si illude di essere

ricco o forte (ricco d'or né gagliardo) e non

ostenta ridicolmente una vita splendida

o un fisico in piena salute fra la gente;

ma si lascia vedere, senza vergognarsene,

debole e povero (di forza e di tesor mendico)

e si dichiara tale apertamente

e mostra la sua condizione

secondo quello che è in realtà.

Non credo che sia un essere (animale=sinedocche) magnanimo

(riprendendo il magnanimo del v.84), ma stolto colui che,

nato per morire, cresciuto in mezzo ai dolori (nutrito in pene),

dice: sono stato fatto per essere felice (a goder son fatto)

e stende scritti pieni di orgoglio disgustoso,

promettendo esaltanti destini e nuove felicità (riprende le

magnifiche sorti e progressive del v.51), quali

(non solo questa terra) anche il cielo intero ignora,

a popoli che un maremoto (un'onda di mar commosso),

una pestilenza (un fiato d'aura maligna), un terremoto

(un sotterraneo crollo) può distruggere

in un modo tale che a stento (a gran pena)

rimane il ricordo di essi.

Nobile creatura è (al contrario) quella che ha

il coraggio di guardare (a sollevar s'ardisce

gli occhi mortali) in faccia il destino

umano (comun fato) e apertamente (con franca lingua),

senza togliere nulla al vero,

ammette il male che ci è stato dato in sorte

e la nostra insignificante e fragile condizione;

è quella (con richiamo al verso 111, cioè quella natura)

che si rivela grande e forte nelle sofferenze,

e non aggiunge alle sue miserie gli odi e le ire fraterne,

più gravi ancora di ogni altro danno,

incolpando l'uomo del suo dolore,

ma dà la colpa a quella che è davvero responsabile

(è rea), che è madre dei mortali perchè li ha generati,

ma matrigna nella volontà (per il trattamento che riserva loro).

Chiama nemica costei (la natura),

e pensando che contro costei sia unita (congiunta),

come realmente è (siccome è il vero), e ordinata fin dalla sua

prima origine, la società umana (l'umana compagnia)

ritiene (estima) che tutti gli uomini siano alleati fra loro,

e tutti abbraccia con amore vero,

prestando valido e sollecito aiuto

e aspettandolo (a seconda delle circostanze) nei pericoli

che minacciano or gli uni or gli altri e nelle sofferenze della lotta

E tu, flessibile (lenta - è attribuito da Virgilio nelle Georgiche:

lentae genistae) ginestra, con i tuoi cespugli profumati adorni

queste campagne desolate (è un'immagine simbolica: il fatto che

la ginestra allieti del suo profumo rappresenta il conforto che

poeta e la poesia arrecano nella deserta desolazione della vita).

anche tu (come il poeta,similitudine poeta=ginestra) presto

soccomberai alla crudele prepotenza del vulcano, la cui lava

(sotterraneo foco)tornando al luogo già altra volta visitato

(per questo già noto) stenderà il suo mantello avido di morte

(avaro) sulle tenere selve di ginestre. E tu, senza opporre

resistenza (perchè vana) piegherai (con dignità) il tuo capo

innocente sotto il peso della lava (fascio mortal): ma senza

averlo piegato prima (riferito a v.306) inutilmente (indarno)

dinnanzi all'oppressore futuro (in futuro è l'idea di un nemico

sempre in agguato), ma neanche levato con folle orgoglio fino

alle stelle o nel deserto dove, tu sei nata e hai dimora non per

tua volontà, ma per caso fortuito; ma più saggia, e certamente

meno insensata (inferma, nel senso di insicura) dell’uomo, in

quanto non hai mai avuto la presunzione di ritenere le tue stirpi

immortali per merito tuo o del destino. Il verso finale, che si

riferisce sintatticamente alla ginestra, è invece rivolto all’uomo.

Tema: La Ginestra o fiore del del deserto conclude il pensiero filosofico di Leopardi ed è praticamente il suo testamento spirituale. Nella canzone si parla della coraggiosa e allo stesso tempo fragile resistenza, che la ginestra oppone alla lava del Vesuvio, il monte sterminatore, simbolo della natura crudele e distruttiva. Il delicato fiore coraggiosamente risorge sulla lava impietrata, e con la fragranza dei suoi arbusti sembra rallegrare queste lande desolate. Ma il suo destino è tragicamente segnato da una nuova eruzione, capace di annullare non solo la sua consolante presenza ma - ben più drammaticamente - la presenza dell'uomo in questi luoghi. La ginestra diviene simbolo della condizione umana. Leopardi in questo canto mette in contrapposizione la smisurata potenza della Natura con la debolezza e fragilità, quasi impotenza, del genere umano: da un lato la Natura che tutto può e dall'altro l'uomo che deve subire ciò che la divinità superiore con i suoi "decreti" ha stabilito per lui; l'insesorabile inimicizia della Natura nei confronti degli uomini in contrasto con la ridicola superbia degli uomini che, pur non essendo nulla, si credono padroni e signori della terra e dell'universo.
Il canto può essere suddiviso in base alle 8 strofe che lo compongono:

  1. La ginestra (versi 1-16)
  2. invettiva contro la natura - ginestra simbolo della poesia (versi 17-51)
  3. invettiva contro la cultura dominante (versi 52-86)
  4. stoltezza e nobiltà dell'uomo - 111-135: la più alta affermazione della propria dignità morale che Leopardi abbia lasciato, espressione definitiva dell'ideale di eroica lotta contro il destino; la magnanima grandezza, unico possibile riscatto dalla miseria della condizione umana, è unita a un ideale di fraternità con gli altri uomini (versi 86-157)
  5. piccolezza dell'uomo, precarietà della condizione umana - visione di spazi cosmici sterminati, immensità gelida incomprensibile e arcana - lo spazio smisurato coincide col nulla (versi 158-201)
  6. cecità della natura cieche e inesorabili sono le forze naturali che casualmente distruggono i viventi nella morte: in ogni caso la Natura segue impassibile il suo eterno corso (versi 202-236)
  7. potenza e insensibilità della natura: non solo sul nuovo, ma anche sulle rovine incombe minacciosa la Natura (versi 237-296)
  8. umiltà e saggezza dell'uomo illuminato (versi 297-317)

Forma metrica: Canzone libera composta di sette stanze libere di diversa dimensione e, spesso, rime al mezzo.

martedì 3 maggio 2011

LEONARDO SCIASCIA IL GIORNO DELLA CIVETTA

Il giorno della civetta

Leonardo Sciascia

Relazione di Francesco Dolci

TITOLO : “Il giorno della civetta

GENERE LETTERARIO: Giallo

AUTORE: Leonardo Sciascia

BIOGRAFIA

Leonardo Sciascia nasce a Recalmuto, nell’entroterra agrigentino, l’8 gennaio 1921, primo di tre fratelli. La madre viene da una famiglia di artigiani, il padre è impiegato in una delle miniere di zolfo della zona.

A sei anni inizia a frequentare la scuola. Da subito affiora la sua forte passione per la storia, unita all’amore per la letteratura. A partire dagli otto anni si dedica intensamente alla lettura di tutti i libri che gli è possibile reperire a Racalmuto.

Nel 1935 l’autore si trasferisce a Caltanissetta con la famiglia e si iscrive all’Istituto Magistrale "IX Maggio". Nel 1941 supera l’esame per diventare maestro elementare. Nel 1944 sposa Maria Andronico dalla quale Sciascia avrà due figlie. Nel 1949 inizia ad insegnare nella scuola elementare nel suo paese.

E’ del 1952 la pubblicazione di “Favole della dittatura”, ventisette testi brevi di prosa assai studiata. Sempre nel 1952, esce la raccolta di poesie “La Sicilia, il suo cuore”.Sciascia vince nel 1953 il premio Pirandello per un suo importante intervento critico sull’autore di Girgenti (Pirandello e il pirandellismo).

Dal 1954 si trova alla direzione di «Galleria» e de «I quaderni di Galleria», riviste dedicate alla letteratura. Nel ‘58 interrompe l’attività di insegnamento per lavorare in un ufficio del Patronato scolastico. Nel 1956 è pubblicato il primo libro di rilievo “Le parrocchie di Ragalpetra”, a cui seguono nell’autunno del ’58 i tre racconti della raccolta “Gli zii di Sicilia: La zia d’America”, “Il quarantotto” e “La morte di Stalin”. Del 1961 è invece “Il giorno della civetta”, il romanzo sulla mafia che porterà a Sciascia la maggior parte della sua celebrità: e proprio l’impegno civile e la denuncia sociale dei mali di Sicilia saranno uno dei tratti più pertinenti per la definizione della fisionomia dello scrittore ed intellettuale Leonardo Sciascia.

Oltre a “Il consiglio d’Egitto” (1963), gli anni Sessanta vedranno nascere alcuni dei romanzi più sentiti dallo stesso autore, dedicati proprio alle ricerche storiche sulla cultura siciliana: “A ciascuno il suo” (1966) e “Morte dell’Inquisitore” (1967. Nello stesso anno esce un’”Antologia di narratori di Sicilia”, curata da Sciascia insieme con Salvatore Guglielmino.

Il 1970 è l’anno del pensionamento e della pubblicazione de “La corda pazza”, una raccolta di saggi su “cose siciliane” nella quale l’autore chiarisce la propria idea di "sicilitudine". Il 1971 è l’anno de “Il contesto”, libro destinato a destare una serie di polemiche politiche. Tuttavia si fa sempre più forte la propensione ad includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera: gli “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel” (1971),” I pugnalatori” (1976) e “L’affaire Moro” (1978) ne sono un esempio.

Nel 1974, nel clima del referendum sul divorzio e della sconfitta politica dei cattolici, nasce” Todo modo”, un libro che parla "di cattolici che fanno politica"

Dopo diversi anni di attività politica, lo scrittore è segnato dalla malattia che lo costringe a frequenti trasferimenti a Milano per curarsi. Carichi di dolenti inflessioni autobiografiche sono i brevi racconti gialli “Porte aperte” (1987), “Il cavaliere e la morte” (1988) e “Una storia semplice” (in libreria il giorno stesso della sua morte), in cui si scorgono tracce di una ricerca narrativa all'altezza della difficile e confusa situazione italiana di quegli anni.

Sciascia muore a Palermo il 20 novembre 1989.

CONTESTUALIZZARE

Rapportare il testo all’autore:

Il racconto sembra essere la confluenza di tre grandi passioni dell’autore: l’impegno civile di parlare di un problema della Sicilia (la mafia), la predilezione per il giallo e la voglia di farsi capire da un vasto pubblico.

Gli ambienti sono quelli dei poveri villaggi di artigiani, di contadini e di operai, “governati” dalla mafia, ai quali lo scrittore era particolarmente legato. Diverse volte, infatti, Sciascia comunica l’amore nei confronti della sua regione.

Collocare il testo nell’epoca in cui è stato composto

“Il giorno della civetta” è stato pubblicato nel 1961, quando la mafia veniva difficilmente combattuta a causa dell’appoggio che essa godeva da parte di diversi politici e dall’omertà degli abitanti dei paesi nei quali essa agiva. Addirittura alcuni negavano l’esistenza di questa forma di terrorismo, sostenendo che si trattasse di massoneria o addirittura di microcriminalità.

La mafia, nata intorno al 1820, assunse la fisionomia di organizzazione parassitaria e criminale a partire dal 1860. Una vera e propria rete di piccoli centri di potere (le cosche), mediante le minacce, i ricatti, la violenza organizzata, mise sotto controllo le campagne della Sicilia centrale e occidentale, realizzando ampi profitti. L'attività delle cosche si estese poi dalle campagne alle città, investendo altri settori economici e anche quello politico e amministrativo. Nel secondo dopoguerra la mafia è dilagata nelle città, nei settori dei mercati ortofrutticoli e dell'edilizia espandendosi anche all’estero.

Inserire il testo nell’ambito dei movimenti culturali dell’epoca.

“Il giorno della civetta” è stato per l’epoca in cui è stato scritto una rivoluzione perché mai nessuno aveva scritto un libro indirizzato alle grandi masse che trattasse il problema della mafia. Su questo argomento esistevano allora solamente pochi scritti: una commedia di un autore siciliano e diversi studi.

CONFRONTARE CON ALTRI TESTI DELLO STESSO AUTORE E DI ALTRI AUTORI.

“Il giorno della civetta” contiene molti argomenti che compaiono in altri testi di Leonardo Sciascia, in particolare i problemi della sua regione, la Sicilia. Egli ritiene che questo luogo offra la rappresentazione di tanti problemi di tante contraddizioni non solo italiani, ma anche europei, “al punto di poter fare della Sicilia una metafora del mondo odierno”.

Fino ad ora non ho letto altri libri che trattano argomenti che possono essere confrontati con quelli de “Il giorno della civetta”.

Nonostante ciò mi risulta spontaneo associare questo racconto a diversi film, che hanno ambientazioni e trame molto simili a quelle del libro di Scoscia.

Per quanto riguarda il lessico, invece, mi risulta immediato il confronto con “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, in quanto ambedue i testi sono ricchi di influssi dialettali, frasi semplici e numerosi soprannomi.

RIASSUNTO

Individua le sequenze

  1. Viene assassinato Colasberna, un presidente di una piccola cooperativa edilizia.
  2. L'indagine viene affidata al capitano dei Carabinieri Bellodi, emiliano ed ex partigiano.
  3. Poco dopo viene ucciso anche un contadino, Nicolosi, che ha visto fuggire uno dei killers.
  4. La medesima fine spetta a Parrinieddu, un informatore dei carabinieri
  5. Grazie alle poche informazioni date dalla vedova di Nicolosi, Bellodi riconosce Diego Marchica, un pregiudicato, come esecutore materiale dell’omicidio.
  6. Tramite un biglietto lasciato da Parrinieddu, Bellodi viene a conoscenza dei nomi dei due mandanti dell’omicidio: don Mariano Arena e il „Pizzuco“, i due capi mafiosi dai quali Colasberna non aveva voluto protezione.
  7. Grazie ai lunghi interrogatori ai quali Marchica e i due capi mafiosi sono sottoposti comincino a trapelare informazioni importanti, è evidente che un solo uomo come Bellodi, quando il caso ha raggiunto simili proporzioni, non può più permettersi di fronteggiare una così grande organizzazione.
  8. Il capitano è mandato in licenza per malattia e ritorna al Nord, da dove apprende che tutto il suo lungo e faticoso lavoro non è servito a nulla, poiché tutte le colpe sono date alla vedova Nicolosi che si ritrova accusata d’omicidio, assieme con il suo amante.

Individua la struttura

  1. Colasberna, presidente di una piccola cooperativa edilizia viene assassinato e il capitano Bellodi si occupa del caso.
  2. L’omertà dei cittadini complica l’indagine, che stenta a decollare.
  3. Bellodi, grazie all’aiuto di pochi testimoni, che verranno tutti uccisi, giunge ai responsabili.
  4. Sembra essersi creato un nuovo equilibrio, ma Bellodi viene mandato in licenza.
  5. Avviene la rottura del nuovo equilibrio perché tutto il lavoro del capitano viene distrutto.

PERSONAGGI

Stabilisci se il personaggio è credibile

Il personaggio, il capitano Bellodi, può essere considerato credibile perché è verosimile. E’ un “uomo”, come afferma Don Mariano Arena, perché è sicuro di sé e si impegna per risolvere il caso.

Stabilisci come viene presentato il personaggio

Il personaggio viene presentato dall’autore poche pagine dopo l’inizio della vicenda. L’unica brevissima descrizione si legge in questo punto quando vengono scritti tre o quattro aggettivi riguardanti l’aspetto fisico. Emerge principalmente l’aspetto interiore, che va scoperto interpretando i monologhi, i pensieri e i dialoghi.

Analizza la caratterizzazione

Non avvengono particolari cambiamenti nell’aspetto fisico o in quello interiore anche se, in modica quantità è presente il fenomeno della caratterizzazione. Per quanto riguarda la tecnica utilizzata, si possono rintracciare due modalità: quelladiretta e quella indiretta. La prima viene utilizzata solo nelle ultime pagine del libro, quando viene fatto notare che il capitano Bellodi è dimagrito , la seconda per il carattere, il cui cambiamento deve essere estrapolato dalle vicende. Per quanto riguarda invece la tipologia, il capitano subisce un’evoluzione di tipo psicologico efisico.

Analizza il rapporto personaggio-autore

Il legame tra il personaggio e l’autore è abbastanza stretto perché tutti e due sono impegnati nella lotta contro il flagello della mafia.

Individua il ruolo dei personaggi

Il Capitano Bellodi (personaggio principale) è il protagonista della vicenda. E’ un giovane alto e di colorito chiaro. E’ determinato, intuitivo, coraggioso ad affrontare un inchiesta contro la mafia. Don Mariano Arena lo definisce un “uomo”, perché tratta dignitosamente gli investigati, senza insultarli o senza mancar loro di rispetto.

Don Mariano Arena (personaggio principale) è un anziano capo-mafia che svolge la funzione di antagonista. Potrebbe apparire a prima vista un galantuomo, una persona rispettabile, ma è il mandante dell’omicidio del Colasberna. Gode dell’appoggio della maggior parte della popolazione locale ed la sua vera arma è l’omertà.

Diego Marchica (personaggio secondario), è un oppositore. Viene riconosciuto come l’esecutore materiale del delitto del Colasberna. E’ soprannominato Zecchinetta ed è stato diverse volte in carcere.

Il Pizzuco (personaggio secondario) svolge la funzione di oppositore. E’ un capomafia anch’egli un mandante dell’omicidio di Colasberna, ma non lo vuole ammettere.

Calogero Dibella, soprannominato Parinieddu (personaggio secondario) è uno dei pochi aiutanti che compaiono nel racconto. Pur avendo paura della punizione che la mafia gli potrebbe infliggere, è un confidente delle Forze Armate. Trova la morte una sera, vicino a casa sua, probabilmente per mano del Pizzuco. Prima di morire, però aveva scritto i nomi dei due capimafia su un foglietto, permettendo a Bellodi di giungere ai responsabili del delitto.

Il panellaro (comparsa), è il tipico cittadino che ha paura della mafia. Si comporta in modo vile ed è diventato uno schiavo della mafia. La caratteristica fondamentale di questo è l’omertà, che protegge la criminalità e ostacola le indagini. Comel’autista, il bigliettaio e i passeggeri dell’autobus svolge la funzione di oppositore.

TEMPO

Individua l’epoca storica

Non sono presenti elementi che permettano di capire l’epoca storica, ma intuisco che la vicenda si svolga attorno agli inizi degli anni Sessanta (all'epoca della stesura e della pubblicazione del romanzo).

Individua la durata della storia

La prima parte della storia, durante la quale si svolgono le indagini, ha una durata di poco più di una settimana, ma aggiungendo il periodo di licenza concesso al Capitano Bellodi, non ancora concluso, si arriva ad un periodo di circa un mese.

La durata narrativa ha una lunghezza minore rispetto a quella reale anche se nelle sequenze di dialoghi, Sciascia utilizza brevi descrizioni sommarie per non rallentare il ritmo della narrazione, dando vita al fenomeno della scena. In misura minore sono sfruttate le tecniche dell’analisi –usata durante le rare riflessioni del protagonista- e del sommario- utilizzato per riassumere periodi come la licenza concessa a Bellodi.

Individua l’ordine cronologico

In linea di massima il racconto può essere considerato lineare, anche se compaiono diverse altre tecniche. Frequenti sono ad esempio i flash-back, utilizzati per ricostruire gli avvenimenti durante gli interrogatori. Compare anche la prolessi, in particolare quando viene anticipata la notizia della morte del Parinieddu.

Individua la distanza narrativa

Nel testo non compaiono elementi che permettano di individuare la distanza narrativa.

SPAZIO

Lo spazio è reale e consiste in diversi paesini del Palermitano, dei quali non viene citato il nome. Brevissimi episodi si svolgono all’interno di una ricca casa di un noto personaggio chiamato “eccellenza” e anche all’interno del Parlamento. Le ultime pagine del libro, invece, hanno come ambiente le strade di Parma. Qui sembra aver luogo il fenomeno della proiezione. Infatti lo stato d’animo del protagonista viene rispecchiato nella particolare luce che illumina le case di questa città.

NARRATORE E PUNTO DI VISTA

Il narratore, che coincide con l’autore Leonardo Sciascia, può essere classificato come esterno occulto. Infatti descrive e rappresenta situazioni alle quali non ha partecipato utilizzando la terza persona singolare.

Per quanto riguarda il punto di vista, esso oscilla tra la focalizzazione zero efocalizzazione esterna. Infatti il narratore conosce i diversi punti di vista dei personaggi, senza però “predire” il futuro e senza esprimere riflessioni.

TECNICHE PER RIFERIRE PAROLE E PENSIERI DEI PERSONAGGI

Per riferire i discorsi dei personaggi viene utilizzato il discorso diretto libero, durante il quale il narratore riferisce tra virgolette le loro parole o, in misura minore, il discorso indiretto.

Per quanto riguarda i pensieri, essi vengono comunicati principalmente in forma indiretta; molto raro è invece il monologo interiore. Questo ultimo esprime i pensieri di Bellodi quando compie riflessioni di un certo spessore.

LINGUA E STILE

Il lessico adoperato è molto semplice e scarno, ma è l’ideale per questo genere di racconto. E’ molto forte l’influsso del dialetto siciliano, adoperato durante i dialoghi.

Si nota il contrasto tra la parlata dei diversi personaggi: si va dal rozzo e quasi incomprensibile linguaggio dei contadini al linguaggio più raffinato di Bellodi o di Don Mariano Arena.

INTERPRETARE

Quanto è originale il testo?

Per l’epoca il testo è stata una vera rivoluzione perché mai nessuno prima di Sciascia aveva trattato in questo modo il problema della mafia. L’originalità sta nella semplicità del lessico, che permette all’autore di rivolgersi ad un ampio pubblico.

Quanto è attuale?

Il racconto di Sciascia è purtroppo ancora molto attuale in quanto il flagello della mafia non è stato ancora sconfitto. Infatti il terrorismo continua a mietere vittime in Italia, e anche in tutto il resto del mondo. Un esempio recente è il terrorismo palestinese, che in nome della “ghiad”, la guerra santa, continua ad uccidere, senza che il governo lo riesca a fermare.

Quali tematiche affronta? In che modo?

“Il giorno della civetta” affronta tematiche molto importanti come la mafia e l’omertà, uno dei gravi problemi che colpiscono molte regioni come la Sicilia. Questi aspetti si sviluppano attraverso presentando i fatti così come avvengono. A prima vista potrebbero sembrare irreali, ma aprendo i giornali si scopre che nulla è inventato.

venerdì 29 aprile 2011

Pierpaolo Pasolini, "Corriere della Sera", 9 dicembre 1973)

CORRIERE DELLA SERA.it

(Pierpaolo Pasolini, "Corriere della Sera", 9 dicembre 1973)

Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la "tolleranza" della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all'organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d'informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d'informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l'intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo?

No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d'animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i "figli di papà", i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l'hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l'analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari - umiliati - cancellano nella loro carta d'identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di "studente". Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell'adeguarsi al modello "televisivo" - che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale - diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio "uomo" che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.

(Pierpaolo Pasolini, "Corriere della Sera", 9 dicembre 1973)

pier paolo pasolini " Ragazzi di vita"

romanzo di Pier Paolo Pasolini

pubblicato nel 1955

Autore

Nato a Bologna nel 1922, dopo la laurea con una tesi su Pascoli, esercita l’insegnamento nei primi anni dopo la guerra in Friuli, dove incomincia a scrivere poesie in friulano e i primi romanzi.

Nel 1950 viene accusato di corruzione di minori ed espulso dal Partito Comunista. Si trasferisce a Roma, dove incontra la realtà delle borgate. Proprio la pubblicazione di Ragazzi di vita nel 1955 gli dà notorietà. Egli anni seguenti sceneggia Le notti di Cabiria di Fellini e pubblica un altro romanzo sulla vita delle borgate romane, Una vita violenta, nel 1959. Negli anni sessanta diventerà un famoso cineasta (per Pasolini la forma linguistica comune era il cinema, non l’italiano) e scriverà sei tragedie di impianto classico. Diventa anche affermato opinionista (famoso il suo articolo in cui diceva di preferire le forse dell’ordine rispetto ai manifestanti sessantottini, perché provenivano dalle file della plebe, e i secondi dall borghesia). Nel 1975 viene però assassinato in circostanze misteriose nella zona dell’Idroscalo di Ostia.

Riassunto

Capitolo 1 – Il Ferrobedò

Mentre Roma è ancora occupata dai tedeschi, Ricetto e Marcello, poco più che bambini, si danno ai furti di rottami, saccheggiando una fabbrica distrutta dalle bombe. Nei giorni seguenti si recano a Ostia, poi al Tevere a fare il bagno. Compiono altri furtarelli, e alla fine perdono quei pochi soldi racimolati giocando a carte. Si dirigono poi ancora al fiume Tevere, dove, con una piccola barca, si avventurano lungo il fiume. Altri ragazzi li raggiungono a nuoto. Ricetto salva una rondine, caduta in acqua, che sta per affogare.

Capitolo 2 - Il Riccetto

Ricetto impara da un ragazzo napoletano a truffare i passanti con il gioco delle tre carte, poi, però, si fa fregare tutti i soldi guadagnati da una prostituta. Nel frattempo crollano le scuole dove stava dimorando, travolgendo sua madre e il suo amico Marcello.

Capitolo 3 – Nottata a Villa Borghese

Ricetto e Caciotta vivono di espedienti, mangiano alla mensa dei frati, fino a quando non rubano un portafoglio ad una signora.

Capitolo 4 – Le notti calde

Amerigo, un amico grande e grosso di Caciotta, convince anche Ricetto a giocare tutti i soldi in una bisca clandestina e li perde tutti. Oltretutto, arrivano i carabinieri e Ricetto fa appena in tempo a non farsi vedere. Caciotta, invece, va in prigione, Amerigo scappa, fa resistenza alle forze dell’ordine e una volta acciuffato, si getta da una finestra per scappare ancora e, dopo pochi giorni, muore atrocemente. Alduccio avvisa Ricetto della morte di Amerigo. Ricetto partecipa con noia ai funerali, insieme al suo nuovo amico di accattonaggio, il Lenzetta.

Capitolo 5 – Il bagno sull’Aniene

Nuovi episodi di accattonaggio: Ricetto rovista nella spazzatura, fa piccoli furtarelli e passa tre anni in prigione nel carcere minorile di Porta Portese (ellisse). Di notte aiuta Sor Antonio a rubare dei cavolfiori, poi gli lascia i pochi soldi che ha e diventa moroso di una delle sue figlie, ma il rapporto non va al di là di un po’ di sesso consumato insieme.

Capitolo 6 – Dentro Roma

Dopo tre anni di carcere (altra ellisse) il Ricetto torna dai suoi amici, a fare un bagno nell’Aniene. Il Caciotta, che nel frattempo è ingrassato parecchio, ha paura, non fa il bagno e poi scopre di essere stato derubato. I cani inseguono i ragazzi, poi si mettono a lottare fra di loro. Subito dopo i ragazzi incominciano a lottare tra di loro proprio come i cani (con un evidente raffronto uomo-animale). Piattoletta, ragazzo timido e poco furbo, oltrechè un po’ troppo magro, viene prima costretto dai suoi crudeli compagni a parlare in tedesco, poi legato a un palo e bruciato vivo

Capitolo 7 – La Comare Secca (=la morte)

Alduccio, senza lavoro, ha messo in cinta una ragazza che non lo vuole, che ha il padre ubriaco e la madre isterica. Bugolone, amico di alduccio, talmente ammalato di tubercolosi, che i dottori gli hanno diagnosticato solo un anno di vita, ha una madre fanatica, che vede diavoli e fantasmi di parenti morti nel letto di notte. Alduccio e Bugulone hanno talmente tanta voglia di fare l’amore e sono tanto squattrinati che alla fine vanno con un omosessuale. Ricetto li accompagna in una grotta al fine di rivedere i luoghi della sua fanciullezza. Alduccio va poi in un bordello, ma non riesce a fare all’amore per la debolezza fisica. La madre di Alduccio, quando lui torna a casa, lo rimprovera perché non lavora e lui, per tutta risposta, la ferisce con un coltello e lei non lo denuncia.

Capitolo 8

Genesio, insieme con i suoi fratelli minori Mariuccio e Borgoantico e con il cane Fido, scappa di casa, ricercato dai carabinieri, e va al fiume Aniene, dove muore affogato, nel tentativo di riattraversarlo a nuoto, sotto lo sguardo impotente di tutti, anche di Ricetto.

Personaggi

È la storia della giovinezza di Ricetto (dai dieci ai vent’anni). Ricetto è un ragazzo di borgata. Tuttavia, a differenza di Una vita violenta in cui sarà più evidente la centralità del protagonista Tommaso e il filo conduttore dell’intreccio, in Ragazzi di vita Pasolini vuole soprattutto descrivere un mondo, pertanto i personaggi e le situazioni si accavallano con minore organicità.

Narratore

Il narratore è esterno, ma non impersonale, come nei romanzi veristi. Egli infatti è commosso spettatore, proiezione di Pasolini stesso, che soffre con il protagonista. Il dolore è infatti ciò che connota il legame di Pasolini con la realtà.

Tempi

L’arco di tempo va dal 1944 al 1954 e corrisponde alla giovinezza di Ricetto. Sono presenti pause, scene ed ellissi.

Spazi

Ovviamente in questo romanzo prevalgono gli spazi aperti, anche perché le baracche a Ricetto e ai suoi amici servono a malapena per dormire, e neanche per mangiare. Lo scenario è quello delle periferie romane con strade, salite, viottoli e abitazioni piuttosto squallide. Il fiume (l’Aniene, per esempio) è, invece, luogo benevolo, dove si costruiscono le avventure dei ragazzi e si sfoga il loro desiderio di libertà. Anche se, bisogna dire, può essere anche luogo di morte.

Stile

Il lessico di Pasolini è decisamente condizionato dal dialetto romanesco, e tocca in più punti il turpiloquio (paraculo, ecc…).

Tematiche

La cosa drammatica che connota la vita di questi ragazzi è che ogni fatto non ha una continuazione, non si proietta verso il futuro, ma si consuma nel momento stesso in cui è vissuto e trova lì tutto il suo significato (se pure esiste un significato). Di fatto la cosa potrebbe anche non essere così tragica. In quegli stessi anni, negli U.S.A., c’è chi fa dell’esistenza alla giornata la propria filosofia di vita: è la cosiddetta generazione on the road descritta nel romanzo Sulla strada di Jack Kerouac. Negli Stati Uniti, però, questo avviene per una scelta, mentre i protagonisti di Ragazzi di vita sono costretti a vivere così, perché non ci sono alternative, che possano rendere la loro esistenza meno precaria.

Il lavoro non esiste, ci sono solo stratagemmi (piccole truffe, ruberie), mentre i protagonisti vedono il lavoro, quello vero, come una gabbia, che contrasta il loro modo di vivere senza prospettive, senza provvidenza, senza futuro e senza progetti. Il loro stile di vita è quello dell’accattonaggio. Questo romanzo e il seguente Una vita violenta (1959) ispireranno il primo film di Pasolini L’accattone (1961).

Il sesso è animalesco: bisogna fare all’amore per sfogare un istinto. Non importa con chi lo si fa (generalmente con prostitute, talvolta con omosessuali). Questi ragazzi non sanno cos’è l’amore, né cos’è un rapporto di fidanzamento.

Un altro riferimento letterario che sorge spontaneo è quello ai romanzi picareschi del seicento spagnolo (soprattutto nel capitolo 5 – Le notti calde)

Libri