giovedì 27 gennaio 2011

Il Crepuscolarismo Sergio corazzini Desolazione

IL CREPUSCOLARISMO

L'aggettivo "crepuscolare" venne usato per la prima volta dal critico e scrittore G.A. Borgese (1882-1952) per definire quella poesia di inizio Novecento che cantava gli aspetti più dimessi e banali della realtà quotidiana; essa infatti aveva abbandonato i temi e il linguaggio elevati della poesia dannunziana, ma si differenziava anche dall'opera di Pascoli, che aveva caricato il suo universo poetico, fatto di "piccole cose", di un forte valore simbolico. I poeti crepuscolari non hanno mai costituito una vera e propria "scuola", ma le affinità nei temi e nelle scelte stilistiche hanno condotto i critici a identificarli come un gruppo omogeneo e a considerarli come una delle avanguardie della lirica del Novecento. Gli esponenti più significativi del gruppo sono Corrado Govoni (1884-1965), che approderà poi al Futurismo, Marino Moretti (1885-1979), Sergio Corazzini (1886-1907) e, soprattutto, Guido Gozzano (1883-1916), che eserciterà un'importante influenza su alcuni poeti successivi, come Eugenio Montale. Le principali caratteristiche del Crepuscolarismo sono le seguenti:

  • l'attenzione a una realtà quotidiana spesso di basso profilo e la rappresentazione realistica di ambienti e di personaggi dell'universo piccolo borghese;
  • un diffuso scetticismo sulle reali capacità di espressione e di comunicazione della poesia nella società borghese e il conseguente rifiuto del "poeta vate" dannunziano;
  • l'abbandono del linguaggio aulico della tradizione a favore di un lessico quotidiano e di un andamento quasi prosastico del discorso che avvicina la poesia al "parlato";
  • a fronte di questa rivoluzione nel linguaggio, un rispetto rigoroso della tradizione metrica, nei ritmi, nella regolarità delle rime, nella scelta delle forme più classiche, dalla terzina al sonetto;
  • a queste caratteristiche comuni a tutti i poeti bisogna aggiungere, per la produzione di Gozzano, un atteggiamento di sorridente ironia che si esercita nei confronti di tutto il suo universo poetico e che rimette costantemente in discussione il significato e il messaggio delle sue liriche

Sergio Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale

Sergio Corazzini (Roma 1886 – Roma 1907) è il poeta fanciullo della nostra letteratura, morto ventunenne di tisi. Molte sue poesie sono state scritte con la febbre, tra gli sbocchi di sangue; e i sudori della consunzione imperlano la sua scrittura. Corazzini è uno dei reggitori, assieme a Gozzano, del cielo crepuscolare italiano; con la sua poca età e le sue poche forze – e prendendo a dire il vero più d’un suggerimento dai simbolisti francesi – ha cambiato paesaggio alla nostra poesia di inizio secolo: verso libero, simbolismo misterioso degli oggetti, messa in discussione del mestiere di poeta e rifiuto spossato di qualsiasi azione alta.

Corazzini dal 1904 al 1906 pubblicò le seguenti raccolte di poesie:

Dolcezze, Roma 1904, diciassette liriche.

L’amaro calice, Roma 1905, dieci liriche.

Le aureole, Roma 1905, dodici liriche.

Piccolo Libro Inutile, Roma 1906, otto liriche di Corazzini e le altre dell’amico Alberto tarchiani.

Elegia, Roma 1906, composizione di ottantatrè versi.

Libro per la sera della domenica, Roma 1906, dieci liriche.

Desolazione del povero poeta sentimentale

dal Piccolo libro inutile

I.

Perché tu mi dici: poeta?

Io non sono un poeta.

Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.

Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.

Perché tu mi dici: poeta?

II.

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.

Le mie gioie furono semplici,

semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.

Oggi io penso a morire.

III.

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;

solamente perché i grandi angioli

su le vetrate delle cattedrali

mi fanno tremare d'amore e di angoscia;

solamente perché, io sono, oramai,

rassegnato come uno specchio,

come un povero specchio melanconico.

Vedi che io non sono un poeta:

sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.

IV.

Oh, non maravigliarti della mia tristezza!

E non domandarmi;

io non saprei dirti che parole così vane,

Dio mio, così vane,

che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.

Le mie lagrime avrebbero l'aria

di sgranare un rosario di tristezza

davanti alla mia anima sette volte dolente,

ma io non sarei un poeta;

sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo

cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.

V.

Io mi comunico del silenzio, quotidianamente, come di Gesù.

E i sacerdoti del silenzio sono i romori,

poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.

VI.

Questa notte ho dormito con le mani in croce.

Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo

dimenticato da tutti gli umani,

povera tenera preda del primo venuto;

e desiderai di essere venduto,

di essere battuto

di essere costretto a digiunare

per potermi mettere a piangere tutto solo,

disperatamente triste,

in un angolo oscuro.

VII.

Io amo la vita semplice delle cose.

Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,

per ogni cosa che se ne andava!

Ma tu non mi comprendi e sorridi.

E pensi che io sia malato.

VIII.

Oh, io sono, veramente malato!

E muoio, un poco, ogni giorno.

Vedi: come le cose.

Non sono, dunque, un poeta:

io so che per esser detto: poeta, conviene

viver ben altra vita!

Io non so, Dio mio, che morire.

Amen.

Struttura metrica: otto strofe disuguali di versi liberi ( tanto che possiamo parlare di otto segmenti discorsivi)

Il titolo riassume il tono generale di tristezza della poesia crepuscolare, intesa come espressione di sentimenti semplici e comuni, vissuti in uno stato d’animo di ango­scia esistenziale. Questo stato d’animo, nella poesia del Corazzini, si articola nelle diverse strofe, riflettendosi ed assumendo qua e là sfumature particolari.

Nella prima strofa il poeta si rivolge a un lettore immaginario, al quale dice, con tono dimesso, di non chiamarlo poeta, perché egli non è che un piccolo fanciullo che piange eche non ha che da offrire lacrime al Silenzio.

L’affermazione di “non essere poeta” non è rifiuto della poesia in genere, ma è una precisa scelta di poetica, è cioè il rifiuto della poesia tradizionale solenne ed altisonante, impersonata da poeti “vati”, come Carducci e D’Annunzio, e gusto per una poesia nuova, fatta di sentimenti semplici e comuni, espressi con parole in uso nel quotidiano.

Nella seconda strofa il poeta dice che le sue tristezze sono quelle comuni a tutti; le sue gioie sono così semplici che si vergognerebbe a confessarle ed arrossirebbe, se lo facesse. Questo vuol dire che egli non ha ormai nessun interesse di continuare a vivere al punto di desiderare la morte.

Il poeta, che ha terminato la seconda strofa dicendo di pensare a morire, all’inizio della terza dice di voler senz’altro morire, perché è stanco di soffrire e perché gli angeli dipinti nelle vetrate delle cattedrali, suggerendogli l’idea dell’altro mondo, gli incutono sentimenti d’amore e di paura. Non può essere quindi chiamato poeta uno che vuole unicamente morire.

Nella quarta strofa troviamo una ripresa dei motivi iniziali. Rivolgendosi ancora al let­tore immaginario, il poeta lo esorta a non meravigliarsi della sua tristezza e a non chiedere spiegazioni, perché egli non gli direbbe che parole vane, tanto vane che ogni tentativo di spiegarle si risolverebbe in pianto, come se fosse per morire. Le lacrime sono per lui una specie di preghiera, simili ai grani di un rosario davanti alla sua anima sette volte dolente (come il cuore della Madonna ferito da sette spade); ma non per questo egli sarebbe poeta: sarebbe solo un fanciullo qualunque, che nella vita prega, canta e dorme.

Nella quinta strofa il poeta dice che egli ogni giorno si nutre di silenzio, come il cristiano si nutre di Gesù (nella comunione). E i rumori della vita quotidiana sono i sacerdoti del silenzio, perché essi lo inducono a chiudersi in se stesso e a trovare Dio.

Nella sesta strofa il poeta dice di aver dormito la notte con le mani in croce(pensando alla figura di Cristo) e che nel sonno gli sembrò di essere un piccolo fanciullo abbandonato da tutti gli uomini, e desiderò di essere venduto, battuto, costretto a digiunare, per poter piangere tutto solo, disperatamente triste, in un angolo oscuro.

Nella settima strofa con un procedimento caro ai poeti crepuscolari, il poeta si contrad­dice. Egli, che aveva detto di amare la solitudine e di aver desiderato di piangere tutto solo in un angolo abbandonato, ora dice di amare la vita semplice delle cose, ma siccome le cose sfioriscono, egli ha visto a poco a poco cadere le sue passioni per ogni cosa che sfioriva. Il lettore non può comprendere ciò e sorride: pensa che il poeta sia malato.

Nell’ottava strofa il poeta dice di essere veramente malato e di morire ogni giorno un poco, come muoiono tutte le cose. Ecco perché egli non è un poeta. Per essere un vero poeta è necessario vivere una vita ben diversa (essere cioè sani, oppure si può anche intravedere una sottesa polemica verso lo stile di arte e vita in D’Annunzio), mentre egli è veramente malato e non sa che morire. E così sia, conclude rassegnato il poeta ricorrendo alla nota formula liturgica(Amen).

mercoledì 5 gennaio 2011

Il saggio breve

IL SAGGIO BREVE

Il saggio breve si configura come testo di tipo argomentativo e informativo: l’autore affronta una particolare questione, dapprima presentandola in modo completo, poi esprimendo una tesi a riguardo, argomentandola a dovere. Per ovvie ragioni, l’elaborato non deve superare i limiti d’ampiezza imposti dalla prova di esame o dalle varie simulazioni.

I fase (Pre-scrittura o bozza)

- Lettura e analisi dell’argomento da trattare;
- Lettura e analisi della documentazione fornita insieme alla consegna: è fondamentale avere una buona conoscenza della questione per affrontare la traccia in modo coerente e completo
- Scelta della destinazione del testo, in base alle sue finalità (descrivere un fatto o un fenomeno e dimostrare o smentire una o più tesi a riguardo)
- Scelta del registro linguistico adeguato (formale = colto, burocratico, informativo; informale = colloquiale) a seconda del destinatario. Generalmente, in una prova d’esame, è richiesto un registro linguistico ‘colto’ o ‘informativo’
- Prima elaborazione di una o più tesi e scelta delle informazioni utili allo sviluppo della tesi (ricavabili dai documenti di supporto)
- Prima stesura della ‘scaletta’

II fase (Scrittura vera e propria)

- Stesura dello svolgimento dell’elaborato, evidenziando tesi e antitesi
- Stesura dell’introduzione, presentando in breve il corpo del testo, costituito dallo svolgimento
- Stesura della conclusione, riassumendo i dati più significativi dell’intero elaborato
- Scelta del titolo da assegnare al testo complessivo

III fase (Rifinitura)

- Rilettura e correzione dell’elaborato
- Stesura della copia da consegnare, con opportuni accorgimenti grafici
- Rilettura definitiva

Caratteristiche del saggio breve

- Individuare all’inizio il nocciolo del problema, intorno al quale organizzare tutte le informazioni
- Rigore espositivo e argomentativo: cercare di convincere il destinatario con argomentazioni coerenti, ben organizzate secondo i principi di evidenza e razionalità, facendo attenzione ai rapporti di causa-effetto. Spesso è bene ricorrere, in modo sintetico, all’esemplificazione e al confronto tra dati diversi tra loro, per arricchire l’elaborato
- Coesione testuale mediante l’uso di connettivi, fondamentali nei passaggi logici da un’argomentazione all’altra

Il saggio breve è un testo argomentativo basato sull’intento di "dimostrare" una determinata tesi (un’idea-forza) mentre il tema tradizionale è un testo espositivo, in cui i contenuti non sono necessariamente strutturati per un certo obiettivo, ma semplicemente esposti, secondo un criterio personale e senza alcun riferimento ad un lettore implicito diverso dal docente o da una eventuale commissione. Le principali differenze tra saggio breve e tema tradizionale sono le seguenti:

- cambia l’impostazione traccia-contenuto. Non ci troviamo più di fronte ad una traccia a tesi che richiede una riflessione su un dato argomento che ci guida anche nell’esposizione e provvista a priori di una certa mentalità, ma un soggetto da cui è necessario, a seconda della tesi che si vuole dimostrare, "estrarre" la traccia. Ovviamente si tratta di un’operazione preliminare;
perché una dimostrazione sia convincente, è necessario che si appoggi su una serie di prove. Nell’ultimo esame di stato sono state fornite ai candidati delle pezze d’appoggio per ciascun "ambito" (artistico-letterario; socio-economico; storico-politico; tecnico-scientifico).;
il saggio breve deve seguire una scaletta. Tale scaletta può essere esplicita (per paragrafi, per punti) oppure implicita. Deve comunque essere possibile per chi legge l’elaborato comprendere immediatamente che si tratta di un saggio breve, quali sono i suoi passaggi, quali sono le sue conclusioni. A tale proposito si suggerisce di adottare uno schema di tipo classico in questo genere di trattazione:

ü presentazione della tesi;

ü svolgimento delle argomentazioni con compendio di materiali informativi;

ü conclusioni;


il saggio breve deve rispondere a determinati requisiti. Alcuni di questi sono comuni anche alla tipologia del tema tradizionale: la pertinenza, la coerenza e la conoscenza adeguata dell’argomento. Il requisito peculiare del saggio breve è la funzionalità delle argomentazioni alla dimostrazione della tesi: le prove a cui ci si affida devono essere convincenti e pertinenti; tutto ciò che è superfluo o non funzionale alla tesi da dimostrare è da scartare;
il saggio breve, come dice la sua stessa definizione e come si può intuire dal punto precedente, deve essere breve: se la funzionalità è la peculiarità strutturale del saggio breve, la sintesi ne è quella formale. Nel testo del ministero della Pubblica Istruzione si raccomanda di non superare le quattro mezze pagine di foglio protocollo;
il saggio breve ha un lettore implicito che deve essere qualificato: rivista specialistica, fascicolo scolastico ecc. Dalla destinazione prescelta dipendono il tipo di linguaggio, il genere di prove che si adducono, il taglio dell’elaborato (più o meno "scientifico");
privilegiando la funzione conativa a scapito di quella emotiva il saggio breve deve comunque avere un taglio "impersonale": non è consentito ricorrere a formule come "secondo me" o a frasi ad effetto e ed è sempre bene attenersi ad un tono distaccato
Lo schema espositivo
1. enunciazione: inquadrare molto brevemente i termini del problema; presentare la tesi da dimostrare e le maggiori problematiche connesse.

2. percorso critico-informativo: in questa fase, che materialmente è il nocciolo dello scritto, la struttura deve essere chiara e le prove evidenti coerentemente con quanto premesso nell’enunciazione. Nell’esposizione si può affiancare due posizioni contrapposte e criticarle punto per punto lasciando emergere il proprio punto di vista; se il momento informativo è prevalente si può anche limitarsi a esporre i vari argomenti in modo "oggettivo" senza prendere apertamente posizione.

3. conclusione: si conferma brevemente la tesi di partenza. Si può usare una forma di congedo più personale ma senza eccedere perché la funzione persuasiva insita nel modello del saggio breve non è quella di vendere qualcosa.

In ordine alla distribuzione delle idee-informazioni, non dimenticare mai il lead, cioè l’inizio che corrisponde alle prime cinque-dieci righe dell’articolo. Il lead è dunque il nucleo centrale dell’argomento che s’intende trattare.

Per farsi capire si useranno termini comunemente adoperati dalla maggior parte delle persone, cioè quelli del lessico italiano di base.

Quanto alla struttura del periodo, si consiglia di preferire una costruzione il più possibile lineare, essenziale, magari elementare. È opportuno limitare le parti del discorso a venti-venticinque parole, articoli e preposizioni inclusi, per non mettere mai il lettore in condizioni di perdere il filo.

È necessario, infine, evitare gli incisi, le elencazioni meticolose, le lunghe citazioni, perché disturbano la semplicità lineare della frase, rischiano di appesantirla dandole un andamento tortuoso: in poche parole annoiano.

Il saggio breve non si incomincia a scrivere subito, appena letta la traccia, come si faceva e si fa per il tema tradizionale, ma si inizia a scrivere soltanto dopo che si è raccolta la necessaria documentazione.

Le difficoltà e gli equivoci nascono quasi subito. Infatti è obbligatorio, fare ricorso ad una documentazione, a sua volta allargabile con ulteriori ricerche personali e comunque sorretta dalla possibilità di adoperare il manuale o altri testi di appoggio come quelli qui allegati.

Solitamente si può fare affidamento su tre citazioni, di una decina di righe ciascuno, dove viene portata acqua a tesi contrapposte, in modo da stimolare direttamente la pratica argomentativa.

A differenza di un tema, il s.b. non richiede una introduzione. Si potrà entrare subito in medias res, perché si dà per scontato che il lettore medio, cui s’indirizza il nostro testo, conosca l’argomento

Si consiglia l’uso del presente storico, cioè della forma verbale assertiva per eccellenza. Meglio se il presente storico è confortato da una terza persona impersonale, sostituita dal pronome Io soltanto nella parte conclusiva del lavoro, laddove sarà bene mettersi in campo direttamente, con una valutazione personale piuttosto energica.

Il saggio breve non è un esercizio retorico, né un comizio, né una prova di virtuosismo stilistico-letterario: i puntini di sospensione, le esclamazioni, le troppe domande retoriche non avranno molti diritti di cittadinanza nel s.b.; alla fine si conteranno, verrebbe da dire "si peseranno" altri coefficienti nella valutazione: la stringatezza, l’efficacia riassuntiva, la capacità di citare senza dilungarsi e senza offrire il destro all’accusa di plagio (la cosiddetta ars citandi non gode di molta fortuna nelle aule scolastiche, sebbene richiederebbe un laboratorio a sé). Citare due-tre righe dal documento offerto va bene, riportare l’intero brano è pura follia. E così ancora: vi sono autori che per puro senso di buon gusto non si citano (per es. un presentatore di varietà televisivo non è autorevole quanto un uomo politico, nell’economia del s.b); una citazione vaga e indistinta è come non esistesse, anzi diventa controproducente …

Il s.b. esige un minimo di serietà professionale, ma non esclude, ove necessario, il ricorso agli strumenti della polemica, ai toni accesi del dibattito culturale, se l’argomento lo richiede e soprattutto se si hanno argomenti adeguatamente documentati da mettere sul piatto della bilancia.

Il tono e il registro dovranno essere quelli di un buon manuale o, appunto, di un saggio d’autore. Per questo è fondamentale l’esercizio propedeutico della lettura di s.b. scritti da saggisti di professione .

Non si improvvisa mai, tanto meno un s.b. Se prima di arrivare alla prova non si sono letti un po’ di s.b. "d’autore" non si farà dunque molta strada.

articolo di giornale: il nucleare


Energia
nucleareSaggio breve o articolo di giornale Ambito tecnico-scientifico

CONSEGNE

Sviluppa l'argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da' un titolo alla tua trattazione.
Se scegli la forma del “saggio breve”, indica la destinazione editoriale (rivista specialistica, relazione scolastica, rassegna di argomento culturale, altro).
Se scegli la forma dell' "articolo di giornale", indica il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro).
Per attualizzare l'argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo).
Non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.

Documenti:

1. Energia nucleare, pro e contro

Ci sono argomenti pro e contro l'energia nucleare. Una valutazione razionale non gioca a suo favore, esistono fonti energetiche meno costose e meno problematiche.
Con una certa regolarità salta fuori la voglia di energia nucleare: risolverebbe il pericolo "blackout", renderebbe il paese meno dipendente da importazioni di petrolio e carbone, potrebbe far scendere il prezzo dell'elettricità, le centrali nucleari, se gestite in maniera corretta, non sono inquinanti e meno pericolose delle grandi dighe. Questi gli argomenti.
Nella realtà sorgono tanti intoppi: dalla progettazione all'avvio di un nuovo impianto nucleare passano sette/otto anni, il tempo che ci vorrebbe per trovare un sito adatto e non contestato dagli abitanti resta un interrogativo. Quindi niente soluzione tempestosa dei problemi attuali. I costi di un nuovo impianto nuclearesono molto alti, per quello che sta sorgendo in Finlandia si parla di tre miliardi di Euro. Molto costoso e completamente irrisolto il problema delle scorie. Cosa farne, dove metterli? Un nuovo decreto legge permette l'esportazione, ma gli altri paesi hanno gli stessi problemi e per legge non importano più scorie. Se, inoltre, si considerano i sussidi che hanno ricevuto le imprese per ricerca e sviluppo nel campo dell'energianucleare, questa tecnologia è da considerare molto cara: nell'ultimo programma quadro per la ricerca europea, le nucleari hanno ricevuto più di 1,2 miliardi di euro, mentre le energie rinnovabili solo 390 milioni di euro. A questo ci sono da aggiungere i prestiti stanziati nel quadro del trattato Euratom, per un totale di 3,2 miliardi di euro dal 1977, fa i conti Greenpeace.
Questi aiuti sono andati a scapito delle fonti rinnovabili, come il solare che nel paese del sole stenta a decollare. Lo stesso vale per l'eolico. Ambedue queste tecnologie hanno un loro impatto sull'ambiente, ma è un impatto prevedibile, calcolabile e meno costoso del nucleare. Le fonti, sole e vento, sono inesauribili, investendo nella ricerca e migliorando le tecnologie si può aumentare la resa e diminuire l'impatto ambientale. Si pone la domanda: perché optare per una soluzione (che è sempre parziale) problematica e costosa, se esistono delle possibilità più facilmente "digeribili"?

Rita Imwinkelried

2.

Negli anni settanta cominciava a diventare una possibilità concreta quella di utilizzare le centrali nucleari per produrre grossi quantitativi di energia, allora si decise di usare come soluzione provvisoria alla grande richiesta di energia quella delle centrali nucleari a fissione, perché a quell' epoca scienziati e potenti erano a conoscenza dei gravi pericoli e degli enormi costi che l' utilizzo di simili centrali avrebbe comportato. Allora si era già a conoscenza del fatto che esiste una forma di energia nucleare molto più pulita, e più economica quella a fusione.
Oggi a distanza di parecchi decenni, non esistono ancora centrali elettriche a fusione nucleare, nel corso degli anni i fondi destinati alla ricerca sono diminuiti in maniera molto consistente, aumentando i tempi e diminuendo i risultati raggiunti. A quanto pare, a chi di dovere, interessa di più il guadagno immediato che il riguardo per l' intera umanità, e continuano a permettere che venga usato un sistema di produrre energia che, si ne produce grandi quantitativi, ma non è ne sicuro dato il grandissimo numero di incidenti nelle centrali elettriche che hanno coinvolto gran parte del mondo ( ne sono esempi gli eventi di Chernobyl, Detroit e Three Mile Island ), ne pulito data la produzione di scorie che inquinano in maniera mostruosa, ne economico perché mantenere uno stabilimento attivo e funzionale ha moltissimo costi, e ne ha molti di più provvedere allo smantellamento di uno stabilimento quando non più attivo e a rendere sicura la zona in quanto non sono più presenti controlli nelle centrali, infatti gli stabilimenti aperti in Italia prima del referendum avvenuto quasi vent'anni fa non sono stati smantellati e ancora oggi e ci sono dubbi sul fatto che siano sicuri. Questo dimostra che non solo a chi di dovere non importa niente del futuro dell' umanità ma anche non gli importa dei suoi interessi stessi, perché infatti l' utilizzo di centrali elettriche a fusione sarebbe molto più pulito in quanto l' unico materiale risultante sarebbe normalissimo elio, più economico perché avviene con atomi di idrogeno, materiale tranquillamente estraibile dall' acqua, e più sicuro infatti qualunque interferenza durante il processo di fusione porterebbe inevitabilmente allo spegnimento della reazione, senza particolari altre conseguenze.
I dati raccolti durante il 19° congresso mondiale dell' energia, comunque sono preoccupanti e invitano ad un' attenta analisi del problema, infatti secondo questo congresso la domanda energetica mondiale raggiunta nel 2030 sarà praticamente il doppio di quella attuale! Da 15'500 TWh a ben 31'000 TWh ! Sicuramente molti hanno pensato come soluzione ideale la produzione di tantissime centrali nucleari a fissione, senza porsi il problema di dove mettere le scorie da esse prodotte, invece di finanziare in maniera più consistente di adesso le ricerche sull' energia prodotta dalla fusione di due atomi. Attualmente il progetto che sembra più promettente è l' ' ITER ( International Thermonuclear Experimental Reactor ) il cui obbiettivo principale è costruire un reattore nucleare a fusione calda in Francia, il progetto aspirava a fare tutta una serie di ricerche sull' energia a fusione, molte delle quali sono state cancellate a causa degli scarsi fondi. Questo tipo di tecnologia prevede anziché scindere il nucleo di un atomo di uranio (come nella fissione) l' unione di due atomi di idrogeno (materiale molto meno radioattivo e più facilmente reperibile ) ottenendo un atomo di elio, per farlo gli scienziati devono riuscire a vincere la forza elettromagnetica che spinge i due atomi ad allontanarsi e avvicinarli abbastanza da fare in modo che la forza nucleare forte spinga i due atomi ad unirsi, questo produrrebbe una grande quantità di energia cinetica facilmente trasformabile in energia elettrica senza il rischio di gravi disastri in caso di fallimento della reazione, infatti l' unica conseguenza sarebbe il non fondersi dei due atomi; e nello stesso tempo eliminerebbe il problema delle scorie nucleari, il procedimento è lo stesso che avviene nelle stelle.
Insomma, la strada che il mondo sta seguendo per trovare energia è quella sbagliata, invece di ricorrere alla soluzione più a portata di mano dovrebbe fidarsi di più di questo tipo di ricerca che presenta già oggi risultati molto promettenti e abbandonare almeno in parte l' energia prodotta grazie alle centrali nucleari a fissione e soprattutto quella prodotta dal petrolio che oltre ad inquinare moltissimo sta causando anche moltissime guerre che potrebbero essere evitate.

(di Amedeo – sito web http://amehomepage.altervista.org/)

3. Per chi suona la campana nucleare

Dunque ci siamo. L’avevamo ipotizzato piú di dieci anni fa. La schizofrenia ambientalista appare in crisi. Di fronte all’allarme (a mio parere comunque esagerato) della catastrofe climatica (la peste), la sciagura dell’energia nucleare non sarebbe più vista come il colera. Tutt’al più una influenza controllabile ma provvidenziale come antidoto all’effetto serra.
I corifei del catastrofismo a tutti i costi e i trombettieri dell’apocalisse che preannunciano la “morte del pianeta”, ovviamente per colpa dell’uomo “faber” oltre che “sapiens”ora si convertono fra le grida e i pianti scomposti degli ultimi “dinosauri” antinucleari imperterriti nel predicare disgrazie ad ogni passo e nell’illudersi ed illudere nell’avvento di panacee miracolistiche quali le energie alternative che, seppure auspicabili e incentivabili se intese in un contesto tecnico-scientifico corretto, non hanno dimensioni tali da confrontarsi, in una indispensabile economia di scala, con i vituperati ma ritenuti indispensabili combustibili fossili.
Ha cominciato l’inglese James Lovelock, il guru ambientalista ideologo di “Gaia”, l’estate scorsa; continuano ora ambientalisti americani di grido quali Stewart Brand, Fredd Krupp, Jonathan Lash e Gustave Speth. Aspettiamo gli italiani.
E pensare che fino a poco tempo fa i “dinosauri” restii all’estinzione, eravamo noi, ossia quella schiera di scienziati, tecnici, ricercatori che, dal 1987 (anno dello sciagurato referendum surrettiziamente interpretato come affossatore dell’energia nucleare in Italia per colpa di un’equivoca mentalità referendaria, di una irresponsabile strategia politica e di una farneticante campagna mass-mediatica) si sono battuti e hanno affrontato battaglie difficilissime, perfino denigrazioni ed emarginazioni, sostenendo sempre la necessità di una più razionale valutazione, tecnicamente e scientificamente corretta, dei costi che la messa ai margini o addirittura l’abbandono della produzione di energia nucleare da fissione avrebbe comportato.
In occasione della famigerata Conferenza Nazionale sull’Energia, tenutasi all’EUR, a Roma, nel 1987 prima del referendum, fu presentata una Dichiarazione (sottoscritta da 900 fisici italiani) redatta, nel corso di un Convegno Nazionale di poco precedente,da un Panel composto, insieme con il sottoscritto, allora Presidente della Società Italiana di Fisica, da Edoardo Amaldi, Fernando Amman, Nicola Cabibbo, Carlo Castagnoli, Donato Palumbo, Carlo Rubbia, Giorgio Salvini, Claudio Villi. Eccone alcuni passi:
“L’aspetto dominante dell’attuale fase di sviluppo delle comunità umane è la crescente domanda di energia e l’aumento del suo consumo pro-capite. È quindi il valore assoluto di tale fabbisogno che conterà nei prossimi decenni, accentuato peraltro dall’espansione sociale e demografica dei Paesi in via di sviluppo i quali hanno già compiuto o si accingono a compiere radicali mutamenti di struttura al fine di trasformare la loro esistenza in un sistema di vita piú complesso ed avanzato…. Ciò significa che il problema energia ha dimensioni planetarie ed i conseguenti aspetti scientifici, economici, sociali, culturali e politici non possono essere affrontati con pregiudizi, improvvisazioni e schematismi ideologici fuori della portata storica di tale problema…. Nessun sistema socio-economico è in grado di svilupparsi… se la collettività non è in grado di trarre l’energia di cui ha bisogno da fonti diversificate e sempre piú avanzate. Ciò richiede l’utilizzo ottimale non soltanto delle risorse naturali ma anche delle grandi scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche. Da ciò discende che la rinuncia volontaria di una fonte energetica quale la fissione nucleare, tuttora in fase di espansione e di perfezionamento anche per ciò che riguarda il rischio ambientale e sanitario, costituirebbe una decisione non corrispondente allo sviluppo storico delle risorse energetiche dell’umanità…”.
Aggiungerò che nelle valutazioni che io presentai alla Conferenza nazionale a nome della Società Italiana di Fisica si preventiva un fabbisogno energetico per l’Italia di 187-190 Mtep per il 2000, a fronte di previsioni al risparmio (145 Mtep) dei Verdi. Siamo in effetti arrivati a 185 Mtep e già nel 1990 eravamo a 163.
In questo quadro è utile ricordare che l’Italia “non nucleare”' è debitrice per circa il 17-18% di energia elettrica proveniente da centrali nucleari francesi, svizzere e slovene e che oggi l’ENEL ha (finalmente) ripreso una politica nucleare acquistando buona parte degli impianti nucleari slovacchi, cosí come l’accordo EDF-Edison permetterà all’Italia di entrare nel gioco del reattore europeo avanzato EPR, di cui due prototipi verranno realizzati rispettivamente in Finlandia e in Francia. Si potrebbe dire “era ora!''', così come si potrebbe auspicare che il nostro Paese si ponga il problema di partecipare alle grandi iniziative internazionali come il “Generation IV International Forum“(GIF) che ha il fine di sviluppare i sistemi nucleari di futura generazione che assicureranno un ancor più elevato livello di sicurezza, la massima riduzione di residui radioattivi, un maggior sfruttamento delle risorse minerarie di materiali fissili e fertili, capacità di produrre idrogeno con processi termochimici di scissione dell’acqua senza passare attraverso l’energia elettrica.

Né andranno dimenticati i progetti italiani di reattori innovativi quali il MARS dell’Università di Roma e l’IRIS del Politecnico di Milano e dell’Ansaldo.
Ovviamente il ripensamento all’opzione nucleare nel nostro Paese non può fermarsi qui e un discorso piú serio sulla capacità e possibilità di una produzione nazionale di energia elettronucleare va comunque ripreso.
Del resto, fatto importante, sono i cittadini comuni, la “gente” come spesso si usa dire per assumere atteggiamenti pontificali in nome della stessa, ad esprimere opinioni sempre piú ragionevoli sull’opportunità di riesaminare tale opzione. Si vedano i vari sondaggi riportati sempre piú frequentemente dai mass-media oggi in fase di “ripensamento senile”.
Personalmente, avendo sempre sostenuto che l’opzione nucleare debba far parte di un mix energetico ragionevole e sostenibile e sia in ogni caso necessaria non solo per calmierare l’uso e l’abuso dei combustibili fossili e contribuire alla diminuzione degli effetti ambientali ad essi dovuti, non mi iscrivo(e con me molti altri scienziati e tecnici avveduti e intellettualmente onesti) alla “società dei catastrofisti climatici “ (il riscaldamento globale dovuto all’effetto serra antropico è ancora tutto da dimostrare).
Ma è certo che l’opzione nucleare si giustifica in ogni caso per due motivi: in primo luogo la razionalizzazione dell’uso di risorse naturali preziose e l’adeguamento dei loro prezzi di mercato; in secondo luogo la necessità di mantenere e sviluppare un patrimonio tecnico e scientifico debitore alla fisica e all’ingegneria nucleare che, anche nel nostro Paese, hanno creato conoscenze e competenze di prim’ordine che solo una dissennata campagna ideologica e oscurantista ha messo pericolosamente in forse con costi socio-culturali difficili da ammortizzare.
È ora che si dia più credito alle competenze e alle risorse tecnico-scientifiche che tuttora esistono e che possono veramente “dare una mano“ per definire i problemi, coordinare le analisi e offrire possibili e realistiche soluzioni senza pretese miracolistiche ma anche senza furberie demagogiche.
È ora anche che i corifei dell’irrazionalità e delle paure infondate, così come i furbi dell’ultima ora siano fatti o si facciano da parte.
E lascino parlare e lavorare quelli che “poco sanno” ma “sanno”.

di RENATO ANGELO RICCI (pubblicato su L'Avanti, 22 maggio 2005)

4. Nucleare sì, nucleare no: interviste di Rita Lena per Apcom

4a: Carlo Bernardini: Bisogna ricostruire competenze

Ma, intanto si potrebbero comprare gli impianti
“Non parlerei di centrali nucleari in termini di risparmio, come mi sembra di aver sentito dire da qualcuno, perché per ritornare al nucleare bisogna pensare prima di tutto a ricostituire le competenze”. È il commento che Carlo Bernardini Ordinario di Fisica, all'Università di Roma “La Sapienza”, fa sulla possibilità di un ritorno dell'Italia al nucleare. “Le vecchie competenze sono disperse, chi è andato in pensione, chi all'estero e oggi sono pochissimi i giovani che vogliono specializzarsi in questo settore, perché non ci sono prospettive di lavoro e perché per la ricerca non ci danno i finanziamenti. È chiaro che i giovani non sono incentivati”.
Quindi è pessimista? “Sono pessimista – risponde – per i tempi e sulle modalità di realizzazione, anche se ritengo indispensabile tornare al nucleare. Ci vogliono almeno cinque anni per formare nuove competenze, il tempo necessario per i ragazzi, che invogliati da una possibile ripresa del nucleare, si iscrivano e portino a termini gli studi”.
E nel frattempo cosa si fa? “Intanto se veramente si pensa di produrre energia dal nucleare, si potrebbero comprare le centrali dalla Francia e disaccoppiare il problema della formazione di nuove competenze con il problema dell'acquisto, che penso sia una opzione inevitabile. Ormai la tecnologia americana o francese è consolidata e sicura.”
Molti pensano che sarebbe meglio optare per le energie alternative. “Le energie alternative non possono risolvere il fabbisogno energetico italiano che è di 50 mila MW, tra l'altro con le nostre vecchie centrali nucleari, Trino e Caorso, rimesse in funzione arriveremmo solo a 1500 MW e quello di qui noi avremmo veramente bisogno è di almeno 10 centrali nucleari. Per quanto riguarda l'idrogeno è un'utopia, i suoi costi di produzione sono troppo alti; il solare va bene per la produzione di energia per realtà locali; l'eolico è un po' superato per problemi di impatto ambientale dei rotori sul territorio; quanto alla biomassa.. ”

4b: Ugo Spezia: Caorso non riattivabile

Per nuovi impianti vero problema fattibilità politica
“Nessuno dei quattro impianti nucleari italiani può essere riavviato in questo momento perché le attività di smantellamento sono in uno stadio molto avanzato”. È quanto afferma Ugo Spezia, ingegnere nucleare della Sogin - la società che ha il mandato di smantellare le vecchie centrali nucleari e di bonificare i siti sui quali sorgono - interpellato sulla possibilità di riattivare le vecchie centrali per un futuro ritorno al nucleare.
“Inoltre – continua – queste centrali, parliamo di Trino Vercellese, Latina e Garigliano, sono state progettate alla fine degli anni '50 ed entrate in funzione all'inizio degli anni '60, ed oggi sono arrivate oltre la vita tecnica prevista per un impianto. Anche per Caorso (BWR-Boiling Water Reactor), progettata ed entrata in funzione negli anni 70, si pone il problema della tecnologia, anche se è vero che ci sono nel mondo centrali gemelle che funzionano ancora.
Per far ripartire una centrale ci vuole la licenza di esercizio e l'APAT (Agenzia per la Protezione dell'Ambiente per i servizi Tecnici) non rilascerebbe in nessun caso una nuova licenza di esercizio per Caorso, non solo perché è un impianto a tecnologia superata, ma perché è ferma da venti anni. Ed anche nella lontana ipotesi che la licenza possa essere rinnovata i costi da sostenere per rimettere l'impianto in condizione di funzionare agli standard di sicurezza attuali, sono superiori a quelli che si dovrebbero sostenere per un nuovo impianto”.
Quindi non avendo più le competenze dovremo comprare le centrali?“Le competenze che hanno consentito di fare le vecchie centrali non ci sono quasi più, ma qui in Sogin siamo più di 800 persone e di queste almeno la metà è costituita da personale diplomato e laureato con competenze nel nucleare. Quindi, per ora, il personale tecnico presente in Italia è più che sufficiente per svolgere funzioni di committenza di un impianto nucleare qualora il governo decidesse di cambiare la politica energetica del paese.
Quanto al fare gli impianti, anche le “vecchie” sono state comprate, oggi a livello mondiale ci sono quattro grossi progettisti e costruttori di centrali nucleari che vendono impianti chiavi in mano a chiunque voglia comprarle. Ad esempio i francesi forniscono un impianto completo in meno di tre anni da 1200 MW. Ma non è questo il punto, perché poi bisogna mettere in conto la fattibilità dal punto di vista politico, dato che in Italia non si riesce a realizzare neppure un impianto convenzionale per l'opposizione delle amministrazioni locali o della popolazione che vive vicino al sito prescelto. È anche per questa ragione che il nostro sistema elettrico è alle corde, perché sono venti anni che in Italia non si sono realizzati impianti convenzionali per la produzione dell'energia elettrica”.

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