giovedì 5 maggio 2011

LA GINESTRA G. LEOPARDI PARAFRASI

LA GINESTRA
Giacomo
Leopardi

Qui sulla pendice (schiena) riarsa del tremendo

(formidabil, latinamente 'spaventevole')

distruttore (sterminator) monte Vesuvio (Vesevo, latinismo),

che nessun altro tipo di vegetazione allieta,

spargi i tuoi cespi solitari intorno, profumata ginestra,

appagata dai deserti (mostrando di non sdegnare i deserti,anzi

quasi di prediligerli). Ti vidi un’altra volta

abbellire con i tuoi steli anche le solitarie campagne che

circondano Roma (la cittade)

la quale città (Roma) fu un tempo dominatrice di popoli,

e sembra che (par che) (le contrade)

con il loro cupo e silenzioso aspetto testimonino e

ricordino al viandante (passeggero) il grande impero perduto.

Ti rivedo ora in questo suolo tu che sei amante

di luoghi tristi e abbandonati dal mondo,

e sempre compagna di grandezze decadute.

Questi campi cosparsi

di ceneri sterili e ricoperti

dalla lava solidificata (impietrata),

che risuona sotto i passi del viandante,

dove si annida e si contorce al sole

sotterranea il serpente, e dove all’abituale tana

torna il coniglio;

furono (la serie fur...fur...fur... sottolinea e oppone)

prosperi e campi incolti, e biondeggiarono di messi,

e risuonarono di muggiti di mandrie;

furono giardini e ville sontuose,

all'ozio dei potenti soggiorno gradito (poichè queste

città erano stazioni turistiche); e furono città famose

che il vulcano indomabile, vomitando (fulminando: spargendo

lava) torrenti di lava dalla sua bocca di fuoco (ignea)

distrusse insieme con i loro abitanti.

Ora invece una sola rovina avvolge tutto quanto (involve),

là dove tu dimori, o fiore gentile e, quasi

compiangendo (commiserando) le altrui miserie,

emani un profumo dolcissimo che sale verso il cielo e

che consola questo luogo di desolazione. Venga in questi

luoghi colui che suole elogiare (esaltar con lode, esaltare

con enfasi, con convinzione cieca) la nostra umana condizione

(il nostro stato) e guardi quanto la natura benigna, amorevole

(amante, detto con sarcasmo) si curi del genere umano. E qui

potrà anche giudicare esattamente la potenza (possanza)

del genere umano, che la natura, crudele nutrice,

quando l’uomo meno se lo aspetta (ov'ei men teme),

con una scossa impercettibile in parte

distrugge in un momento e può con scosse un po’

meno lievi annientare del tutto all'improvviso (subitamente).

Su questi pendii sono rappresentate

le sorti splendide e in continuo progresso

dell’umanità (la citazione proviene dalla dedica che il cugino

del poeta, Terenzio Mamiani, premetteva agli Inni Sacri).

Qui guarda e ammira rispecchiato te stesso (ti specchia),

secolo superbo (perchè pensi di dominare la natura e credi

nel progresso) e stolto (perchè non ti rendi conto delle minacce

che sovrastano il mondo), che hai lasciato la via percorsa fino

ad ora prima di te dal pensiero risorto con il Rinascimento (il

risorto pensier, che aveva sgombrato tutte le oscurità del

medioevo) e, tornato indietro (volti addietro i passi), per di

più ti vanti del procedere a ritroso (del ritornar) e lo chiami

progresso. Tutti gli uomini d'ingegno, di cui la sorte malvagia

(sorte rea) ti rese padre (poichè davvero meritavano di vivere

in un secolo migliore) e queste tue manifestazioni di infantile

insensatezza (al tuo pargoleggiar), vanno applaudendo la tua

follia, benché, talvolta, nel loro intimo, ti scherniscano. A me

non accadrà di lasciare questa vita macchiato di una simile

vergogna (opposizione al conformismo che regna tra gli uomini

d'ingegno), ma avrò (prima) mostrato nel modo più esplicito il

disprezzo che è chiuso (si serra) nel mio animo verso di te,

benché io sappia che chi non piacque (ai propri contemporanei)

è destinato alla dimenticanza (preme, latinamente, corrisponde

ad 'avvolge,ricopre').Di questo male (cioè l'essere dimenticato)

che condivido con te (cioè con il secolo), fin d'ora non mi

importa nulla (mi rido). Sogni la libertà (vai sognando, rende

l'idea dell'illusione) e nel contempo vuoi servo il pensiero in

virtù del quale soltanto risorgemmo in parte dalla barbarie

medioevale e in nome del quale soltanto è cresciuta la civiltà,

che sola guida i destini dei popoli verso il progresso. Tanto ti

spiacque la verità relativa alla sorte dolorosa (aspra sorte) e

alla condizione miserevole che la natura ci ha dato.

Per questo volgesti le spalle al pensiero (lume - l'oggetto è il

vero, con allusione in particolare alla filosofia dell'illuminismo)

che lo rivelò (il fè palese) e, mentre fuggi, definisci vile chi

segue queste dottrine e magnanimo colui che esalta fino alle

stelle la condizione umana, illudendo se stesso o gli altri

e mostrandosi così astuto (se inganna gli altri) o folle

(se inganna se stesso).

Un uomo di umile condizione (povero stato) ed infermo, che

abbia grandezza d’animo e nobili sentimenti,

non si vanta né si illude di essere

ricco o forte (ricco d'or né gagliardo) e non

ostenta ridicolmente una vita splendida

o un fisico in piena salute fra la gente;

ma si lascia vedere, senza vergognarsene,

debole e povero (di forza e di tesor mendico)

e si dichiara tale apertamente

e mostra la sua condizione

secondo quello che è in realtà.

Non credo che sia un essere (animale=sinedocche) magnanimo

(riprendendo il magnanimo del v.84), ma stolto colui che,

nato per morire, cresciuto in mezzo ai dolori (nutrito in pene),

dice: sono stato fatto per essere felice (a goder son fatto)

e stende scritti pieni di orgoglio disgustoso,

promettendo esaltanti destini e nuove felicità (riprende le

magnifiche sorti e progressive del v.51), quali

(non solo questa terra) anche il cielo intero ignora,

a popoli che un maremoto (un'onda di mar commosso),

una pestilenza (un fiato d'aura maligna), un terremoto

(un sotterraneo crollo) può distruggere

in un modo tale che a stento (a gran pena)

rimane il ricordo di essi.

Nobile creatura è (al contrario) quella che ha

il coraggio di guardare (a sollevar s'ardisce

gli occhi mortali) in faccia il destino

umano (comun fato) e apertamente (con franca lingua),

senza togliere nulla al vero,

ammette il male che ci è stato dato in sorte

e la nostra insignificante e fragile condizione;

è quella (con richiamo al verso 111, cioè quella natura)

che si rivela grande e forte nelle sofferenze,

e non aggiunge alle sue miserie gli odi e le ire fraterne,

più gravi ancora di ogni altro danno,

incolpando l'uomo del suo dolore,

ma dà la colpa a quella che è davvero responsabile

(è rea), che è madre dei mortali perchè li ha generati,

ma matrigna nella volontà (per il trattamento che riserva loro).

Chiama nemica costei (la natura),

e pensando che contro costei sia unita (congiunta),

come realmente è (siccome è il vero), e ordinata fin dalla sua

prima origine, la società umana (l'umana compagnia)

ritiene (estima) che tutti gli uomini siano alleati fra loro,

e tutti abbraccia con amore vero,

prestando valido e sollecito aiuto

e aspettandolo (a seconda delle circostanze) nei pericoli

che minacciano or gli uni or gli altri e nelle sofferenze della lotta

E tu, flessibile (lenta - è attribuito da Virgilio nelle Georgiche:

lentae genistae) ginestra, con i tuoi cespugli profumati adorni

queste campagne desolate (è un'immagine simbolica: il fatto che

la ginestra allieti del suo profumo rappresenta il conforto che

poeta e la poesia arrecano nella deserta desolazione della vita).

anche tu (come il poeta,similitudine poeta=ginestra) presto

soccomberai alla crudele prepotenza del vulcano, la cui lava

(sotterraneo foco)tornando al luogo già altra volta visitato

(per questo già noto) stenderà il suo mantello avido di morte

(avaro) sulle tenere selve di ginestre. E tu, senza opporre

resistenza (perchè vana) piegherai (con dignità) il tuo capo

innocente sotto il peso della lava (fascio mortal): ma senza

averlo piegato prima (riferito a v.306) inutilmente (indarno)

dinnanzi all'oppressore futuro (in futuro è l'idea di un nemico

sempre in agguato), ma neanche levato con folle orgoglio fino

alle stelle o nel deserto dove, tu sei nata e hai dimora non per

tua volontà, ma per caso fortuito; ma più saggia, e certamente

meno insensata (inferma, nel senso di insicura) dell’uomo, in

quanto non hai mai avuto la presunzione di ritenere le tue stirpi

immortali per merito tuo o del destino. Il verso finale, che si

riferisce sintatticamente alla ginestra, è invece rivolto all’uomo.

Tema: La Ginestra o fiore del del deserto conclude il pensiero filosofico di Leopardi ed è praticamente il suo testamento spirituale. Nella canzone si parla della coraggiosa e allo stesso tempo fragile resistenza, che la ginestra oppone alla lava del Vesuvio, il monte sterminatore, simbolo della natura crudele e distruttiva. Il delicato fiore coraggiosamente risorge sulla lava impietrata, e con la fragranza dei suoi arbusti sembra rallegrare queste lande desolate. Ma il suo destino è tragicamente segnato da una nuova eruzione, capace di annullare non solo la sua consolante presenza ma - ben più drammaticamente - la presenza dell'uomo in questi luoghi. La ginestra diviene simbolo della condizione umana. Leopardi in questo canto mette in contrapposizione la smisurata potenza della Natura con la debolezza e fragilità, quasi impotenza, del genere umano: da un lato la Natura che tutto può e dall'altro l'uomo che deve subire ciò che la divinità superiore con i suoi "decreti" ha stabilito per lui; l'insesorabile inimicizia della Natura nei confronti degli uomini in contrasto con la ridicola superbia degli uomini che, pur non essendo nulla, si credono padroni e signori della terra e dell'universo.
Il canto può essere suddiviso in base alle 8 strofe che lo compongono:

  1. La ginestra (versi 1-16)
  2. invettiva contro la natura - ginestra simbolo della poesia (versi 17-51)
  3. invettiva contro la cultura dominante (versi 52-86)
  4. stoltezza e nobiltà dell'uomo - 111-135: la più alta affermazione della propria dignità morale che Leopardi abbia lasciato, espressione definitiva dell'ideale di eroica lotta contro il destino; la magnanima grandezza, unico possibile riscatto dalla miseria della condizione umana, è unita a un ideale di fraternità con gli altri uomini (versi 86-157)
  5. piccolezza dell'uomo, precarietà della condizione umana - visione di spazi cosmici sterminati, immensità gelida incomprensibile e arcana - lo spazio smisurato coincide col nulla (versi 158-201)
  6. cecità della natura cieche e inesorabili sono le forze naturali che casualmente distruggono i viventi nella morte: in ogni caso la Natura segue impassibile il suo eterno corso (versi 202-236)
  7. potenza e insensibilità della natura: non solo sul nuovo, ma anche sulle rovine incombe minacciosa la Natura (versi 237-296)
  8. umiltà e saggezza dell'uomo illuminato (versi 297-317)

Forma metrica: Canzone libera composta di sette stanze libere di diversa dimensione e, spesso, rime al mezzo.

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